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I PESCI SOTTO LA MINACCIA DI UNA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE

[20 Gennaio2015]

Lo sfruttamento sempre più industrializzato delle risorse ittiche rischia di riprodurre sui mari l'ecatombe di specie animali avvenuta sulla terraferma con la distruzione di foreste e pascoli a partire dalla rivoluzione industriale. A lanciare l'allarme è un articolo apparso su Science che sottolinea però che ci sono buone speranze di recupero se saranno definite aree protette e pratiche efficaci di gestione sostenibile della pesca

Il depauperamento delle popolazioni di specie marine sta seguendo lo stesso andamento registrato per quelle della terraferma a partire dalla rivoluzione industriale: è quanto affermano i ricercatori dell'Università della California a Santa Barbara, guidati da Douglas McCauley, autori di un articolo di commento apparso sulla rivista Science. Durante il 1800, l'espandersi delle attività umane legate all'agricoltura e all'allevamento hanno sottratto progressivamente terreno alle foreste e consumato risorse ricavate dal suolo o dal sottosuolo, con il risultato che moltissime specie animali furono condannate all'estinzione.
Nel caso degli oceani, lo sfruttamento delle risorse è aumentato ma con un ritmo decisamente inferiore: "l'industria ittica, infatti, ha continuato ad utilizzare per lo più piccole flotte di pescherecci che operano in acque poco profonde e senza allontanarsi dalla costa. Negli anni, tuttavia, la pesca si è industrializzata, ponendo un problema di ipersfruttamento delle risorse. L'allevamento intensivo dei mari somiglia molto a quello dei bovini mentre le tecniche di confinamento e di foraggiamento di banchi di tonni ricordano le pratiche tipiche dei ranch, e gli allevamenti di gamberi stanno sottraendo spazio alle mangrovie", spiega Steve Palumbi, coautore dello studio.
"Il grado di distruttività del processo è ora simile a quello che ha caratterizzato la riduzione d foreste e praterie sulla terraferma, e procede con un fervore che ricorda la corsa all'oro".
Come se non bastasse, il ricorso alla tecnologia è sempre più sofisticato: dall'uso di elicotteri per l'avvistamento dei banchi di pesci all'orientamento dei pescherecci con i satelliti. "Tutto fa pensare che siamo all'inizio di una rivoluzione industriale sui mari", aggiunge McCauley. "Lo sfruttamento globalizzato degli oceani rappresenta una minaccia senza precedenti per tutte le specie selvatiche". Non tutto è perduto, tuttavia, perché gli oceani sembrano godere ancora di un discreto stato di salute e sono molte le opportunità per favorire un recupero delle popolazioni di pesci.
Una delle misure è la costituzione di zone di oceano sempre più grandi e libere da qualunque tipo di sfruttamento, ma anche nelle zone in cui la pesca rimane permessa devono essere implementate politiche efficaci di gestione sostenibile delle risorse".
Nel caso degli oceani, lo sfruttamento delle risorse è aumentato ma con un ritmo decisamente inferiore: l'industria ittica infatti ha continuato a utilizzare per lo più piccole flotte di pescherecci che operano in acque poco profonde e senza allontanarsi dalla costa. Negli anni tuttavia la pesca si è industrializzata, ponendo un problema di ipersfruttamento delle risorse.
"Finora nei mari le specie estinte documentate sono 15, contro le 500 delle terraferma: proprio perché il numero è così esiguo, esistono tutte le premesse per recuperare", conclude McCauley. "Ma s'impone una scelta: o continuiamo come abbiamo fatto finora, ripetendo gli errori compiuti sulla terraferma, oppure progettiamo tutti insieme un futuro differente e migliore per i nostri oceani". Fonte: Le Scienze.


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