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Cod Art 0610 | Rev 00 | Data 04 Lug 2013 | Autore: Ottavio Luoni

 

   

 

L'EVOLUZIONE DEI CETACEI

I nomi con cui comunemente sono note balene e delfini inducono spesso in errore, infatti questi termini non hanno un reale fondamento scientifico e per questo sono quindi causa di notevole confusione. Per dipanare qualsiasi "dubbio", bisogna pensare ai cetacei attuali in termini di due gruppi ben distinti, quelli che possiedono veri e propri denti (odontoceti) e quelli che non li hanno (misticeti).

La stragrande maggioranza dei cetacei appartiene al gruppo degli odontoceti, che annoverano circa 70 specie, tra queste ricordiamo, a titolo di esempio, i delfini come Delphinus delphis, le stenelle (Stenelle sp.), i tursiopi (Tursiops truncatus), le orche (Orcinus orca), i capodogli (Physeter macrocephalus), i narvali (Monodon monoceros), i mesoplodonti (Mesoplodon sp), il gruppo dei delfini di fiume come i lipoti (Lipotes vexillifer), le inie (Inia geoffrensis), le sotalie (Sotalia fluviatis) etc. Sull'argomento "cetacei di acqua dolce" vedi qui. Nel gruppo dei misticeti vi troviamo le altre 11 specie attuali, che compensano il loro scarso numero, includendo molti dei più grandi cetacei noti, come ad esempio la balenottera azzurra (Balaenoptera musculus), la balena grigia (Eschrichtius robustus), la megattera (Megaptera novaeangliae), la balenottera di Omurai (Balaenoptera omurai) identificata per la prima volta solo nel 2008. I Misticeti, a differenza degli Odontoceti, sono privi di denti ma dotati di grandi fanoni, ovvero di strutture cornee che pendono dalla mascella superiore (detta anche rostro) e disposti come fossero i denti di un pettine, adatti a filtrare efficacemente l'acqua di mare.

In questo articolo intendo proporre quella che è stata la storia evolutiva dei cetacei, rimandando ad altri articoli i dettagli relativi alle differenze anatomiche e fisiologiche di questo straordinario gruppo di mammiferi del mare.
In realtà, la storia evolutiva dei cetacei è ancora oscura, mancano tanti tasselli per completare il puzzle evolutivo che ha portato alle forme che conosciamo oggi. Il loro aspetto, decisamente ittiomorfo, ha contribuito a generare confusione, soprattutto tra gli studiosi del passato. Solo nel XIX secolo si comprese che i cetacei (dal greco Ketos = mostro marino) erano mammiferi a tutti gli effetti, anche se alcune affermazioni, come quelle di Darwin (scrisse che un orso potesse essere un plausibile punto di partenza per spiegare l'origine dei cetacei, semplicemente perchè gli orsi nuotano e contemporaneamente possono afferrare insetti in aria e pesci in acqua), suscitarono ilarità e derisione. Inoltre, i fossili non aiutarono molto gli studiosi, i pochi resti, spesso incompleti, non permisero di identificare gli antenati più antichi dei cetacei. G. Simpson, nella sua opera del 1945, affermò che i cetacei si evolsero in tempi lunghissimi, tanto da non lasciare testimonianze fossili apprezzabili. Tale affermazione, per quanto incoerente, palesava in realtà le tante difficoltà nel collocare i cetacei all'interno del complesso albero evolutivo dei mammiferi.

L'IPOTESI VAN VALEN E LE SCOPERTE DI GINGERICH E THEWISSEN

Subito dopo le affermazioni di Simpson, molti scienziati si misero al lavoro per cercare di risolvere il mistero dell'evoluzione dei cetacei. Alan Boyden dimostrò, per esempio, che vi erano notevoli affinità tra i cetacei e gli artiodattili, che comprendono i cammelli, gli ippopotami, i maiali e i ruminanti. Ma gli artiodattili sono i progenitori dei cetacei oppure hanno con essi un antenato in comune? A questa domanda rispose Leight Van Valen, del Museo di Storia Naturale di New York. Pakicetus inachus
Van Valen scoprì delle analogie tra i denti tricuspidati di alcuni resti fossili di antichi cetacei e un antico gruppo di mammiferi condilarti, i mesonichidi. I mesonichidi vivevano in Asia, Europa e Sud America nel vasto bacino della Tetide; presentavano abitudini alimentari particolari e, probabilmente, da questo gruppo ad un certo punto si separò una nuova linea evolutiva di mammiferi, che cominciò a mutare dieta, nutrendosi solo di pesci che catturavano negli estuari dei fiumi. Tuttavia quella di Van Valen rimase una ipotesi lungi dall'essere avvalorata, poiché le scoperte successive cambiarono nuovamente le carte in tavola.
Nel 1979, Philip Gingerich dell'Università del Michigan, scoprì alle pendici dell'Himalaya pakistano, un fossile parziale di un cranio, grande quanto quello di un lupo. Il cranio, tuttavia, presentava particolarità anatomiche uniche, ovvero l'orecchio era quello tipico dei cetacei; Gingerich aveva scoperto il cetaceo più antico mai rinvenuto.
Allla nuova specie, trovata tra i sedimenti marini dell'Eocene pakistano, fu dato il nome di Pakicetus, dal nome del luogo del ritrovamento. Negli anni a venire, nella stessa zona furono trovati altri resti fossili, purtroppo mai completi e in grado di permettere di ricostruire il resto del corpo di Pakicetus. E pochi anni dopo Gingerich fu costretto a lasciare la zona, a causa delle guerre e dell'invasione russa in Afghanistan.

  Pakicetus inachus  
  Già in parte adattato alla vita acquatica, era ancora capace di spostarsi agilmente sulla terraferma, grazie ai suoi arti tozzi e rattrappiti, solo vagamente simili a natatoie; il suo adattamento all'ambiente acquatico è ancora parziale, come si può dedurre dalla struttura del cranio non telescopico e per la presenza di denti ancora differenziati; probabilmente la sua forma esteriore era molto diversa da quella dei cetacei attuali, infatti il suo corpo era molto più simile ad un incrocio tra un ippopotamo e una mucca, munita alle estremità di una breve coda.
Ma la differenza fondamentale tra i protocetacei che vivevano in acqua e Pakicetus era il suo orecchio. Nei cetacei è assente la membrana timpanica, è presente invece la bulla timpanica, un osso denso e capace di trasmettere i suoni provenienti dall'acqua all'orecchio interno. In Pakicetus, seppur la bulla timpanica somigli a quella dei protocetacei, è comunque presente la membrana del timpano. Dunque a cosa serviva la bulla timpanica? Forse Pakicetus tendeva agguati presso le rive dei fiumi e degli estuari, appoggiando la testa a terra e percependo i suoni attraverso le vibrazioni del terreno, similmente agli attuali coccodrilli. La stessa cosa dicasi per Ambulocetus, scoperto da Thewissen (vedi paragrafo qui sotto).
 
     

Tuttavia non si rassegnò e si trasferì in Egitto, presso la valle Zeuglodon, una zona che durante l'Eocene era sommesa dal mare della Tetide, esattamente come il Pakistan. Qui avvenne la prima importante scoperta; Gingerich portò alla luce i resti fossili degli arti inferiori del Basilosaurus, un mostro serpentiforme luno ben 18 metri. I resti fossili degli arti inferiori erano troppo piccoli per un corpo così grande, il che fece supporre che l'animale fosse esclusivamente acquatico, dunque incapace di muoversi sulla terraferma. Ma ecco che, nel 1992, avvenne una scoperta decisiva da parte del team di Thewissen, nei sedimenti marini del Pakistan, risalenti a 48 milioni di anni fa. Vennero alla luce i resti fossili completi di un grande animale capace sia di nuotare che deambulare sulla terraferma, successivamente battezzato Ambulocetus natants, il cetaceo che cammina e nuota.
Dunque, le nuove scoperte che avvennero dal 1979 in poi, gettarono le basi per la formulazione di nuove ipotesi; nuovi resti fossili vennero portati alla luce che permisero di strutturare più dettagliatamente quello che oggi è noto come il gruppo degli Archaeoceti.

Basilosaurus e Dorudon

Archaeoceti

Dunque Pakicetus, Basilosaurus e Ambulocetus, oggi inseriti nel sottordine Archaeoceti sono probabilmente gli antenati dei cetacei moderni, insieme ad altri gruppi come Protocetidae e Remingtonocetidae. Non sono del tutto chiari i rapporti filogenetici tra questi gruppi, tuttavia il mistero dell'evoluzione dei cetacei è in parte meno oscuro rispetto agli anni passati.
I Pakicetidae (Pakicetus inachus), come detto, sono i rappresentanti più antichi e le testimonianze fossili risalgono a circa 53 milioni di anni fa. Della stessa epoca è Indoyhus, scoperta recente del team di Thewissen; si tratta di una testimonianza importante ma Indoyhuspurtroppo incompleta. Grande come un gatto attuale, Indoyhus aveva la struttura dell'orecchio simile a quella dei cetacei, per cui si ipotizza che vivesse perennemente in acqua. Risale invece a 45 - 49 milioni di anni fa Ambulocetus che, come gia detto, venne scoperto dal gruppo di Thewissen. Lungo circa 3 metri e simile ad un coccodrillo attuale, Ambulocetus conduceva probabilmente vita semiacquatica. Più recente Kutchicetus (Remingtonocetidae), che risale a 45 milioni di anni fa circa. Lungo poco meno di 2 metri, conduceva anch'esso vita semiacquatica o, come suggerito da alcuni, totalmente acquatica.
Ma ecco che arriviamo ai protocetidi come Rodhocetus (Protocetidae), un animale i cui resti fossili risalgono a 40 milioni di anni fa; l'anatomia di questo animale è gia più moderna. I suoi arti posteriori erano piatti, le dita lunghe e sottili, forse unite da una membrana a formare delle pinne natatorie. Il cinto pelvico era modificato, con scarsa fusione delle vertebre del sacro e porzione termianle della colonna vertebrale completamente libera, per migliorare la mobilità della coda e, dunque, nuotare liberamente in acqua. Rodhocetus si muoveva probabilmente ondeggiando, come fanno le otarie e i leoni marini.
Infine, ecco che compaiono i basilosauri, come Basilosaurus e Dorudon; molto grande il primo, con circa 18 metri di lunghezza per 1.8 metri di altezza, relativamente piccolo il secondo, circa 5 metri di lunghezza e della stessa altezza di Basilosaurus, duqnue Dorudon era corto e tozzo, decisamente idrodinamico e adatto alla vita acquatica. I basilosauri sono considerati i diretti discendenti dei cetacei attuali e sono scomparsi, forse a causa di repentini cambiamenti climatici, circa 36 milioni di anni fa.

DAI PROTOCETACEI AI GRUPPI MODERNI

Sono passati molti milioni di anni da quando Pakicetus cacciava nei bassi estuari dei fiumi e siamo giunti all'Oligocene; nei mari preistorici, a questa prima rapida radiazione dei protocetacei o archeoceti, seguì un momento critico di stasi, durante il quale, però, incominciarono a differenziarsi le due linee evolutive che poi porteranno alla divisione dei protocetacei in odontoceti e misticeti.

Con gli antenati dei misticeti (come Llanocetus denticrenatus, eocene), infatti, comparve una nuova tecnica alimentare, la filtrazione; le particelle alimentari sospese in acqua erano filtrate dai denti disposti come fossero un setaccio. Questo tipo di alimentazione portò, successivamente nel periodo Miocenico (30 milioni di anni fa), alla comparsa dei fanoni che sostituirono del tutto i denti; probabilmente, sempre in questo periodo, l'altro gruppo arcaico degli odontoceti modificò la forma dei denti che, da triangolari e molto appuntiti, come si evince da alcuni ritrovamenti fossili antecedenti a questo periodo, divennero conici, con differenze anatomiche tra quelli situati sulla mascella anteriore e quelli disposti sulla mascella inferiore. Inoltre, questi animali cominciarono a sviluppare organi adibiti ad emettere suoni ad alta frequenza, per regolare il nuoto e per individuare leo prede (ecolocalizzazione). L'ecolocalizzazione consiste nel trasmettere un fascio di onde sonore verso un oggetto che le riflette, come fosse appunto un eco; gli odontoceti producono questi suoni nei complessi tessuti molli (melone), presenti nelle cavità nasali, situati all'interno della fronte, tra il cranio e lo sfiatatoio.
Dunque, se gli odontoceti svilupparono la capacità di produrre e captare i suoni ad alta frequenza, i misticeti hanno acquisito la capacità di produrre e captare suoni a bassissima frequenza, il che permette di comunicare a distanze relativamente grandi. Le evidenze fossili hanno permesso di stabilire che l'ecolocalizzazione era gia presente, seppur rudimentale, nei cetacei primitivi di 28 milioni di anni fa, mentre l'origine della percezione dei suoni a bassa frequenza dei misticeti è ancora oscura.
Anche la trasformazione delle narici in sfiatatoio è alquanto complessa da spiegare, è noto solamente che Pakicetu aveva le narici esattamenmte alle estremità del muso, mentre nei cetacei attuali lo sfiatatoio è dorsale rispetto al cranio. Dunque si tratta di una complessa trasformazione anatomica e fisiologica ancora lontana dall'essere ben compresa.
Queste diversificazioni tra i due gruppi di cetacei si possono osservare anche nei resti fossili mediterranei, in particolare in quelli rinvenuti sul territorio italiano, nelle arenarie del Miocene inferiore bellunese e negli strati biomicritici del Salento.

La fauna che popola oggi gli oceani e i mari del nostro pianeta è, quindi, il prodotto di una lenta e continua evoluzione, che ha portato, nel corso delle ere geologiche, ad un susseguirsi continuo di nuove specie (processo detto di speciazione); alcune specie sono scomparse, altre sono giunte, con qualche variazione, sino ai giorni nostri.
Attualmente, nei nostri mari, sono state classificate più di 80 specie di cetacei; essi hanno colonizzato gli ambienti più diversificati, alcuni di essi vivono vicino alle coste, altri negli estuari dei fiumi e altri ancora vivono in mare aperto. I cetacei variano anche come dimensioni, infatti si passa dai piccoli delfinidi, lunghi poco più di un metro, all'enorme balenottera azzurra, che supera agevolmente i 30 metri di lunghezza.
Per concludere, possiamo affermare che fra tutti gli animali vissuti sul pianeta terra, i cetacei rappresentano quelli che hanno raggiunto le maggiori dimensioni, neppure i dinosauri più grandi presentavano dimensioni paragonabili e, come scrisse Lacepede, naturalista francese (1756-1825) "tra tutti gli animali, nessuno domina un territorio tanto vasto, il loro regno si estende dalla superficie delle acque fino alle profondità oceaniche".

Delfini tursiopi

By Luoni Ottavio & Pierfederici Giovanni

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BIBLIOGRAFIA

SITOGRAFIA