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Cod Art 0241 | Rev 01 del 05 Apr 2013 | Data 31 Lug 2006 | Autore Pierfederici Giovanni

 

   

 

SQUALI E CANCRO

L’uscita nel 1992 del libro Sharks Don’t Get Cancer, pose le basi per giustificare ulteriormente la pesca e l'uccisione di migliaia di squali in tutto il mondo, gia colpiti dall'overfisching e dal finning.

Gia negli anni '70 sulle coste del Pacifico degli Stati Uniti, grosse prede come tonni, pesci spada e altre specie di interesse commerciale, erano in diminuzione, per cui i pescatori rivolsero la loro attenzione, quasi per necessità, agli squali, allora assai abbondanti e diffusi. Furono un'alternativa al caro-pesce, e le carni vennero quasi subito apprezzate. Altri paesi, fortunatamente, adottarono politiche protezionistiche, come l'Australia e il Sud Africa.

La pratica cruenta del finning, letteralmente "spinnamento", ha invece le sue origini nei paesi del sud-est Asiatico, e risale a oltre 2000 anni fa. Le pinne erano servite alla sola classe privilegiata, mentre ora sono consumate nelle Sharks Fin Soup nei locali di tutto il mondo. Allo scopo sono utilizzate tutte le pinne, cioè la prima e seconda dorsale, la caudale, le pettorali, le ventrali e infine la pinna anale. Queste sono considerate non solo una prelibatezza costosa e che deve essere ostentata, ma anche un potente afrodisiaco dalla farmacopea cinese.

Tornando al libro del '92, prendo spunto da esso per evidenziare come da una falsa credenza si possa seriamente mettere in pericolo l'esistenza di un intero gruppo di animali, che sono su questo mondo da molti milioni di anni. Nel testo citato, si afferma appunto che gli squali non si ammalano di cancro, e il commercio di estratti di cartilagine, sotto forma di pillole, ha il presunto scopo di cura e il sicuro introito dalle vendite.
Le forme tumorali e le relative varianti istologiche trovate negli squali sono state pubblicate sul The Registry of Tumors in Lower Animals e, al dicembre del 2004, erano ben 42 (Fonte: Gary K Ostrander, Keith C Cheng, Jeffry C Wolf, Marilyn J Wolf. Cancer Researh 64, 8485-8491, dicembre 2004). Le forme tumorali fino ad ora evidenziate sono distribuite in 21 specie appartenenti a nove famiglie e sette ordini. Negli squali sono state descritte 24 forme tumorali, 16 nelle razze e infine 2 nelle chimere, per un totale appunto di 42 forme, tra cui melanomi e fibromi cutanei, tumori tiroidei, linfomi, adenocarcinomi, neuroblastomi, condromi (i tumori della cartilagine) e osteomi, questi ultimi sono tumori dei tessuti mesenchimatici che si originano dagli osteoblasti. Nella lista, non completa, sono riportati tumori benigni e tumori maligni (metastatici), come il mesotelioma e il neuroblastoma olfattorio.

Di fatto quindi, affermare che gli squali non si ammalano di cancro è una falsità. Ciò che realmente non si conosce, ma che tuttavia è attualmente oggetto di studio, è la frequenza dei tumori che colpiscono i pesci cartilaginei (Shark cancer rates). Utilizzando i dati riportati sopra, sembrerebbero molto bassi, ma gli stessi dati sono ancora insufficienti. Gli squali pescati non sono quasi mai indagati dai servizi veterinari, del tutto assenti in tantissimi paesi del Pacifico, all’opposto quelli studiati sono una esigua minoranza. Inoltre gli squali sono pesci pelagici, di mare aperto e quindi poco esposti alle sostanze cancerogene che vengono peraltro diluite nel mezzo acquoso. I cancerogeni insolubili tendono invece ad accumularsi nei sedimenti e in prossimità delle coste.
È dimostrato a proposito, che le comunità di pesci ossei bentonici (che vivono sul fondo), o che vivono sotto costa sono colpiti da molte forme tumorali e con tassi molto più elevati. Sono state trovate forme tumorali nelle lamprede, nelle missine e in numerosi invertebrati marini come i molluschi. Alcuni autori, giustamente, premono per verificare se davvero gli squali, pur sviluppando forme tumorali maligne come tutti gli altri animali, hanno davvero una innata capacità di mantenere basso il tasso di sviluppo tumorale. Potrebbero disporre di meccanismi efficienti di riparazione del DNA o metabolizzare efficacemente le sostanze cancerogene. Se questo fosse comunque vero, nulla giustifica le stragi compiute, perchè ciò che è di beneficio per un animale, non è assolutamente detto che lo sia per un altro, e questo è tanto più vero quanto maggiore è la distanza evolutiva che separa le specie. Inoltre nessuno studio ha confermato l’efficienza degli estratti di cartilagine assunti per contrastare l’angiogenesi tumorale, anzi in alcuni casi sono stati evidenziati importanti effetti collaterali, che sarebbero tollerabili solo nel caso in cui i vantaggi fossero al di sopra degli svantaggi.

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