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Cod Art 0593 | Rev 00 | Data 07 Apr 2013 | Autore: Pierfederici Giovanni

 

   

 

IL MARE ADRIATICO

Il mare Adriatico, nome dalla duplice etimologia, potrebbe infatti discendere dalla cittadina veneta di Adria, oppure dal paese abruzzese di Atri, si estende lungo la direttiva nordovest-sudest, per circa 800 Km, che è la distanza che separa Venezia dallo Stretto di Otranto. La sua superficie occupa poco meno di 139.000 Km2 e la sua larghezza media non supera i 150 Km. La volumetria è di circa 35.000 Km3. È un bacino semichiuso, che comunica con il resto del Mediterraneo a sud, in corrispondenza del restringimento del canale di Otranto, che segna il confine tra Adriatico e Jonio.
La profondità media è modesta. Il bacino settentrionale presenta fondali che digradano dolcemente, sino a poco meno di 75 metri. Il bacino mediano presenta una depressione che raggiunge, di fronte alla città di Pescara, la profondità di oltre 200 metri. Vi sono infatti due differenti avvallamenti, uno di 257 metri e l’altro di 270 metri. Si tratta della famosa fossa di Pomo o fossa di Jabuk.
La Jabuka pit, la parte Croata della fossa, si estende per 1.400 Km2, mentre in acque internazionali si estendono i restanti 700 Km2. Dalla parte Croata, a circa 12 miglia dalla costa, è presente l’isolotto Jabuka, che indica il confine delle acque territoriali croate. Il bacino meridionale è invece il più profondo dei tre e scende rapidamente oltre i 1.000 metri.
La massima quota batimetrica misurata è di 1.233 metri. Le pendenze del fondale sono maggiormente accentuate lungo il versante orientale, mentre sono inferiori lungo il versante italiano.
Spesso il bacino Adriatico è suddiviso in tre zone o settori: il settore nord o settentrionale, che comincia idealmente dalle coste veneto-friulane, per terminare all'altezza della direttrice Zara-Ancona; il settore centrale, o medio Adriatico, che dalla direttrice Zara-Ancona si spinge sino al promontorio del Gargano; infine, il settore sud o meridionale, che dal promontorio del Gargano arriva sino allo stretto di Otranto. I tre settori si differenziano, oltre che per l'ampiezza, anche per la batimetria. Il settore settentrionale non supera i 70 metri di profondità, quello centrale giunge a 270 metri (fossa di Pomo), quello meridionale che arriva a 1.233 metri di profondità.

I numeri dell'Adriatico, dunque, non sono eccessivi, per questo Braudel lo definì un 'mare stretto ove si articola il Mediterraneo'. Un mare definito 'amico' per la limitatezza dello spazio marittimo. Eugenio Turri, autore del volume Adriatico Mare d'Europa, scrisse:

"Del Mediterraneo, il mare Adriatico riproduce tutti i tratti essenziali: la limitatezza dello spazio marittimo, che rende amico il mare, ne fa un territorio domestico, breve, riecheggiante degli stessi rumori, ben conosciuto (dal monte Conero nei giorni limpidi si vedono le montagne della Dalmazia...), ma al tempo stesso chiuso da terre che si ergono subito in barriere montuose non facilmente valicabili, come quinte di palcoscenici diversi".

L'Adriatico è certamente un mare "complesso" a volte sottovalutato dai professionisti del mare, spesso prematuramente devastato da scempi ecologici oramai difficilmente colmabili. E, soprattutto, è stato devastato dall'industria della pesca, ancora cieca e ottusa nell'insistere con metodi e metodiche decisamente poco sostenibili.

NASCITA DEL MARE ADRIATICO
LAdriatico è quella che in geologia viene chiamata avanfossa, ossia una fossa detritica o sedimentaria. Tuttavia la tipologia dei sedimenti e la morfologia dei fondali è alquanto complessa. Molti credono che sia solo una distesa di sabbia fine e omogenea, oppure credono che sia un bacino fangoso. In realtà, le vicessitudini geologiche che hanno coinvolto l'Adriatico sono molto complesse e sono altrettanto complesse le deposizioni sedimentarie.

Ma come si è formato il mare Adriatico? Per sintetizzare, ci limitiamo a ricordare solo alcuni eventi: l'attuale zona del Mediterraneo è parte di ciò che rimane dell'antico oceano noto con il nome di Tètide o Mesogea. Si estendeva dall'attuale Marocco alle catene dell'Eurasia. In seguito alla deriva dei continenti, la placca africana cominciò a spingere su quella euroasiatica, fratturando il fondale dell'antica Tètide e contribuendo al suo sollevamento, favorendo dunque l'emersione del basamento crostale cristallino e i sedimenti ad esso sovrapposti; si sollevarono quelle che oggi sono le catene montuose delle Alpi, dei Pirenei, dell'Atlante e i rilievi dell'Anatolia.
I margini delle placche africana ed euroasiatica non sono per nulla delineati e sono due le teorie in voga che spigherebbero l'origine del bacino Adriatico: la prima afferma che la placca africana formi una sorta di cuneo penetrato al di sotto dell'attuale Adriatico, questo spiegherebbe la genesi degli attuali Appennini e la loro dislocazione, nonché il loro lento movimento di rotazione verso nord est. Se tale teoria è corretta, sotto i sedimenti dell'Adriatico attuale vi sarebbe una parte della placca africana (figura 1).

Cuneo placca Africana sotto mare Adriatico

Fig.1 - In giallo la placca Africana; una sorta di cuneo della stessa placca, si sarebbe infilata sotto la placca euroasiatica (in rosa), determinando il sollevamento dell'Appennino, la sua rotazione verso nord est, l'apertura del Tirreno e la formazione del mare Adriatico [i limiti tra placca Africana ed Euroasiatica sono approsimativi]. Credit immagine: ApUni.

La seconda teoria afferma invece che la crosta al di sotto dell'Adriatico, sia una placca a se stante, un frammento dell'antica Tètide, nota con il nome di microplacca Adria o Apulia, interposta tra quella africana ed euroasiatica. Si tratta di una microplacca residua staccatasi durante il perido Sinemuriano (basso Triassico), come si può osservare nella figura 2.
In ogni caso, in seguito alla rotazione degli Appennini verso nord est, venne favorita l'apertura del Tirreno e la progressiva chiusura dell'Adriatico, ancora in corso.

Microplacca Adriatica o Apulia
Fig. 2 - Ricostruzione del periodo Sinemuriano (basso Triassico), con la rappresentazione della microplacca Adria o Apulia, una delle 15-20 microplacche dislocate a nord del continente Africano. Credit: Schettino and Scotes, 2002.

Circa 70 milioni di anni fa, il bacino Adriatico era molto più esteso sia ad est che ad ovest. A est si estendeva sino alle Alpi Dinariche, ad ovest sino alle Alpi e agli Appennini. Successivamente, la genesi delle catene alpine ed appenniniche, influenzò la morfologia e la sedimentologia del bacino; al suo interno, enormi quantità di detriti e sedimenti venivano scaricati dai fiumi. Inoltre, il livello del mare Adriatico subì notevoli variazioni; nel corso del Pliocene il livello del mare era circa 100 metri maggiore di quello attuale, mentre nel corso della massima espansione glaciale (Pleistocene, 18.000 anni fa), conclusasi solo 12.000 anni fa, il livello del mare era ben 90 - 100 metri inferiore all'attuale livello (figura 3). Dunque, durante il Pliocene, l'Adriatico era molto esteso, ma non riceveva apporti sedimentari dai grandi fiumi, poiché non esistevano, riceveva però torbiditi da nord, che colmarono ben presto l'intero bacino. Al contrario, durante il Pleistocene, i reticoli fluviali erano molto estesi e contribuirono a riversare in Adriatico sedimenti da ben quattro sistemi progradazionali, ovvero: da nord (fiume Po), da est (Dinaridi), da sud est (area fossa Bradanica) e da ovest (Appennini).

Adriatico nel Pliocene e Pleistocene

Fig. 3 - Sopra, a sinistra, l'Adriatico nel Pliocene. Il livello del mare era circa 100 metri più alto del livello attuale, l'Italia come la conosciamo oggi non esisteva, piuttosto era simile ad un grande arcipelago. A destra, l'Italia nel Pleistocene; il livello del mare era 90-100 metri inferiore a quello attuale. La pianura Padana si estendeva sino a sud di Ancona (indicata in rosso) e il fiume Po sfociava nell'attuale fossa di Pomo, oggi colma di sedimenti. De Marchi identificò per primo, sotto il mare Adriatico, gli alvei fluviali di numerosi fiumi, che oggi sono sommersi e che erano affluenti dell'antico fiume Po.

Durante il Pleistocene, tutte le piattaforme continentali erano emerse (fig. 3, a destra), dunque erano soggette ad erosione da parte del complesso reticolo fluviale, soprattutto lungo il lato Adriatico.
Tali incisioni, ovvero i canali erosivi fluviali, le paleovalli e i canali incassati, furono "notate" da De Marchi, negli anni '20 del secolo scorso, attraverso l'analisi delle isobate; sul fondo dell'Adriatico erano evidenti le incisioni degli antichi fiumi come il Marecchia, il Musone, l'Adige, il Brenta e naturalmente il fiume Po. Essi, durante il Pleistocene correvano in mezzo all'attuale mare Adriatico; tutti i fiumi attuali, sia sul versante italiano che quello dalmata, erano affluenti del Po, che sfociava poco più a sud di Ancona, nell'attuale fossa di Pomo. Tutti questi fiumi hanno trasportato enormi quantità di sedimenti che oggi, rimaneggiati da fenomeni gravitativi e di trasporto, giacciono sul fondo del mare.
Più in dettaglio, la fase Pleistocenica fu caratterizzata da due fasi di trasgressione (variazione del livello marino). Durante il massimo glaciale (18.000 anni fa), il livello marino raggiunse, come gia detto, valori di quasi 100 metri in meno rispetto a quello attuale. Si formò un esteso delta (lowstand delta) che originò il fianco settentrionale della depressione medio Adriatica, ovvero la fossa di Pomo, la quale, secondo i lavori di Ori et al. (1986) e Ciabatti et al. (1987), è di origine deposizionale. Essa venne colmata di sedimenti e, essendo collegata al mare, più a sud, solamente da un modesto tratto profondo meno di 50 metri, doveva essere sicuramente di natura salmastra, poiché il Po riversava enormi quantità di acque dolci e lo scambio con l'acqua di mare era modesto.
Oggi, i sedimenti del paleo delta del Po, giaggiono a 140 metri di profondità. Barre fluviali e dune litoranee giacciono sepolte da un solo metro di sedimenti rimaneggiati in periodi successivi.
La successiva trasgressione marina, avvenne in tempi molto rapidi. In solo 8.000 anni, il mare guadagnò quasi 60 metri, così circa 10.000 anni fa, il delta del Po arretrò quasi alla posizione attuale.
Nella figura 4, sono rappresentate dettagliatamente le situazioni di 18.000 e 10.000 anni fa.

Trasgressione mare Adriatico

Fig. 4 - A, trasgressione marina medio-glaciale (10.000 anni fa); B, trasgressione massimo-glaciale (18.000 anni fa). In grigio le zone sommerse, in bianco le terre emerse. Il segmento in rosso, qui sopra, rappresenta il profilo sismico (sismic profile), che ha permesso di evidenziare la presenza di sedimenti lacustri e lagunari, di barre di foce sabbiose e cordoni litoranei.

In realtà vi furono rapidi aumenti del livello marino rispettivamente 12.000, 10.000 e 8.500 anni fa, periodi intercalati da due fasi relativamente stabili, coincidenti con periodi particolarmente freddi (noti come Heinrich Events H1 e Younger Dryas). Durante le fasi di trasgressione l'estesa pianura di lowstand venne rapidamente allagata, data anche la sua modesta inclinazione (solo 0.002°), per cui tutti i sedimenti precedentemente deposti e finiti sott'acqua, vennero rimaneggiati e deposti nuovamente onshore, ovvero lungo le neoformate linee di costa man mano che esse arretravano verso nord ovest. I fiumi che prima erano affluenti del Po vennero isolati e cominciarono a scaricare in mare, cambiò drasticamente la circolazione prevalente e aumentò (dato l'aumento dell'estensione del bacino Adriatico), l'energia del moto ondoso. L'Adriatico si stava trasformando.
Oggi, quelle antiche paludi e gli antichi bacini salmastri della lowstand sono sepolti sotto un modesto strato di sabbia e, ogni volta che facciamo un bagno di fronte le coste romagnole o marchigiane, ci troviamo pochi metri sopra le antiche argille deposte dal fiume Po. Infatti, dopo uno spessore 5-7 metri di sabbie, troviamo proprio le argille, con rimasugli di conchiglie di molluschi di oltre 10.000 anni fa (Idroser s.p.a 1985, 1990; Colantoni et al., 1989). Tuttavia non dobbiamo immaginare che tali depositi siano distribuiti omogeneamente al di sotto delle sabbie costiere. Piuttosto, appaiono localizzati e conservati in strutture chiamate mounds, oppure, nel settore nord Adriatico, è possibile reinvenire dune sabbiose alte 1-3 metri, allineate alla costa e sepolte a 35-40 metri di profondità. A sud est dell'attuale delta del Po, su un'area di circa 150 Km2, a 25 metri di profondità, è collocata una delle evidenze meglio conservate di un antico ambiente costiero trasgressivo, chi volesse approfondire può far riferimento ai lavori di Colantoni et al.,1990, e Correggiari et al., 1996.
Spostandoci dalla attuale linea costiera verso il largo dell'Adriatico centrale, sui fondali la sabbia è sostituita dal fango. Si tratta di sucessioni fangose spesse anche 10 metri. La loro origine è abbastanza chiara; durante i due periodi freddi Heinrich Events H1 e Younger Dryas, la copertura vegetale si ridusse notvolmente, per cui aumentò drasticamente l'apporto fluviale di fanghi e sedimenti terrigeni.
Riassumento, l'Adriatico attuale prese forma "solamente" 6.000 anni fa, durante la trasgressione nota come trasgressione flandriana. Il livello del mare aumentò di circa 3-6 metri, e assunse le sembianze che possiamo osservare oggi. Dunque, durante il quaternario si verificarono eventi importanti che trasformarono la geomorfologia dell'Adriatico, che cominciò progressivamente ad estendersi e ad allungarsi verso nord ovest; dapprima venne allagato il lowstand deltizio e successivamente vennero allagate le valli incise dai fiumi. I sedimenti precedentemente deposti vennero rimaneggiati e nuovamente deposti sulle nuove linee di costa che andavano formandosi.

Sezione fondale mare Adriatico

Sedimenti Adriatico Legenda

Fig. 5 - Sopra, sezione trasversale del fondale del mare Adriatico lungo la direttrice Ancona-Zara, ottenuta grazie alle prospezioni sismiche petrolifere. L'immagine è tratta dal testo di Eugenio Turri (vedere bibliografia). Notare le numerose linee di frattura (linee rosse). Originale: Finetti et al., Geophysical study of the Adriatic plate. Mem. Soc. Geol. Ital. volume 40, 1987.

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BIBLIOGRAFIA

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