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Cod Art 0530 | Rev 00 | Data 04 Lug 2012 | Autore: Paolo Masi

 

   

Proseguiamo i racconti tratti dai lavori di Paolo Masi. Il suo ultimo libro L’Elefante di Mare, descrive i trascorsi della marineria di Cattolica e Gabicce. Leggendo, è possibile tornare indietro nel tempo e capire come si costruivano le imbarcazioni e come i cantieri dell’epoca, fossero un importante punto di riferimento per tutta la costa Adriatica.
Tempi andati, dove l’uomo era il protagonista principale; nei volti dei personaggi, intravediamo grande sacrificio ma anche grande serenità, i mestieri dell’epoca mettevano in risalto la tempra dei protagonisti, uomini che erano capaci di superare difficoltà inusuali per i nostri tempi, testimoniando passione e amore per il mare.
I racconti sono correlati dalle fotografie di Dorigo Vanzolini, altro importante personaggio del luogo, appassionato di fotografia e detentore di un importante archivio fotografico storico delle genti di mare. Nel libro sono raccolte immagini rappresentative dei mestieri legati al mondo della cantieristica dell’epoca, naturalmente noi ci limitiamo ad inserire i capitoli rappresentativi, con poche immagini, per non togliere il gusto, a chi lo desiderasse, di leggere il libro per intero.

I MOLI DI LEVANTE, LO SQUERO, VELISTI E CORDAI...DI PAOLO MASI

Seconda Parte

LA COSTRUZIONE DEI MOLI
Nell’anno 1853 iniziarono i lavori per la costruzione del molo di Levante e, quattro anni dopo, nel 1857, venne costruita una torretta in legno con fanale alimentato ad acetilene. Nel 1862 venne costruito anche il molo di Ponente, sempre in palafitta, le cosiddette palate, che saranno poi progressivamente sostituite da una struttura in muratura, con pali in cemento armato. La costruzione del porto fu fondamentale per il rapido sviluppo della flotta peschereccia, che raggiunse notevole importanza fin dalla seconda metà dell’ottocento, in quanto garantiva, finalmente, non solo un ricovero più sicuro per le imbarcazioni, ma fu la ragione sostanziale per il rilevante incremento di ogni tipo di pesca. Inoltre la costruzione del porto fu positiva per l’economia e per i cantieri navali, tanto che Cattolica e Gabicce divennero, tra la fine dell’ ottocento e per tutta la prima metà del novecento, due dei centri più importanti per la pesca del medio Adriatico, al punto che furono commissionate imbarcazioni destinate ad altre marinerie, sia delle Marche che della Romagna.

Molo di ponente di Cattolica

Sopra, il Molo di Ponente di Cattolica. Sullo sfondo un bragozzo al rientro dalla pesca. Cattolica, Primo Novecento.

Barche a vela nel porto canale

Sopra, barche a vela nel porto canale. Un traboccolo "tirato alla banda" per la pulizia della carena e del calafataggio. Cattolica, Primo Novecento.

LO SQUERO
Nello squero lavoravano carpentieri e calafatai, detti anche galafà. Erano veri maestri d’ascia che, senza alcun progetto e solo grazie ad una lunga esperienza tramandata di padre in figlio, costruivano solide barche in legno, capaci di tenere validamente il mare, ricorrendo per lo più ad attrezzi rudimentali e ad una straordinaria abilità manuale. Erano aiutati da altri specialisti: alberanti, velai, bozzellari, fabbri e canapini. Per la costruzione dello scafo, ossia lo scheletro e il fasciame, veniva usato un particolare tipo di quercia da opera, priva di nodi, di cui era ricco il nostro entroterra; mentre il legno di pino, larice e abete, era utilizzato per gli alberi e le rifiniture.

Motovelieri in costruzione Fiorella e Sergio

Due motovelieri in costruzione "Fiorella" e "Sergio". Cattolica, 1945.

Le querce, segnate e abbattute, venivano trasportate nel cantiere mediante il caramat, un carro con due ruote altissime e una lunga stanga, trainato da coppie di buoi. I grossi tronchi venivano posti su appositi cavalletti, mentre i segantini provvedevano ad effettuare i tagli, ricorrendo a due tipi di seghe: a lama libera o con telaio, che venivano maneggiate a quattro mani. Il legname lavorato, prima di essere posto in opera, veniva lasciato a stagionare per un lungo periodo. In passato i cantieri di Cattolica e Gabicce hanno costruito navi da trasporto e da pesca anche di notevole tonnellaggio.

Maestri ascia Cattolica

Adattamento centrale ordinate. Da sinistra: Nino Cerni, Guido Rondolini (maestro d’ascia), Agostino Arduini. Cattolica, 1946.

Tra le barche varate a Cattolica, ricordiamo le "Le due Rosine", del cantiere di Roberto Franchi, detto "Rubèrt", il "Giovanni Pascoli"; il "Don Bosco", il "Faccetta Nera", del cantiere di Guido Rondolini, il "Tireremo Diritto" e il "San Marco" costruiti nei cantieri navali di Giuseppe della Santina, detto "Fafòn" e di Adamo Vimini, detto "Bega".
"Il Tireremo Diritto" era un grande motoveliero a tre alberi. A Gabicce Mare furono costruiti il "Guido Verni" del cantiere di Francesco e Riziero Cola detto "Badil" e il "Virginia", del cantiere di Pietro Terenzi e Luigi Berti, detto "Bigio". di Giuseppe della Santina, detto "Fafòn" e di Adamo Vimini, detto "Bega".

Varo trabocco Anna Romeo 1926

Preparazione al varo del trabaccolo "Anna Romeo" costruito dai maestri d’ascia Francesco e Giovanni Ubalducci. Cattolica, Dicembre 1926.

Maestro ascia Adamo Vimini

Il maestro d’ascia Adamo Vimini "Bega" e il genero Valter Carnevali, mentre adattano un madiere alle ordinata. Cattolica, anni ‘50

ARALDICA VELICA DELLA MARINERIA DI CATTOLICA E GABICCE MARE
Riconoscere la proprietà di una barca a vela in alto mare, ma soprattutto quando si avvicinava alla costa, era di grande importanza per chi restava a Cattolica e a Gabicce, in attesa del suo rientro. Un fiduciario dell’equipaggio restava a terra e dopo aver scrutato da lontano e identificato la vela, quindi l’appartenenza dell’imbarcazione, aveva l’incarico di occuparsi degli affari e dello smercio del pescato, in questo modo pianificava in anticipo la vendita del prodotto in arrivo. I colori per la tinteggiatura delle vele erano scelti fra quelli più facili da reperire; di qui a quelli che offriva la terra il passo fu breve: rosso mattone, giallo ocra e nero.
Le raffigurazioni più antiche erano dettate da una cultura analfabeta, ma per la perspicacia di cui sono dotati gli uomini eccezionalmente efficace, che per l’identificazione della vela si affidava soprattutto al colpo d’occhio; perciò l’imbarcazione risultava personalizzata e ben riconoscibile, anche da notevoli distanze.
Infine, per comprendere meglio la cultura di quei tempi oramai lontani, una curiosità. Ogni famiglia, quindi tutti i suoi componenti, sia che fossero comandanti (paròn) o semplici marinai (marinèr), aveva un soprannome, che traeva origine da episodi occasionali, ma che coinvolgeva, comunque, la vita di ciascun personaggio.

LE VELAIE
Il confezionamento delle vele per le barche da pesca e da trasporto del passato, e per quelle moderne da diporto, ha rappresentato per Cattolica e Gabicce Mare, nel corso dell’ultimo secolo, un'importante attività la cui esperienza viene tramandata attraverso una rigorosa successione ereditaria.

Velaie Via del Porto

Le velaie di Via del Porto. In piedi da sinistra: Seconda Pizzoli, Emilia Pizzoli in Mascilongo, Anna Prioli, Domenica Magi "Manghina", Maria Prioli con in braccio il figlio Agostino Del Bianco, Caterina Berti, Gina "dla Malegna", Serafina Magi. Cattolica, 1927.

Ricordando questa attività, svolta essenzialmente da personale femminile, non si vuole soltanto sottolinearne l’importanza, ma dare rilievo ad una tradizione prestigiosa sia per valenza professionale e artigianale, che non conosce concorrenza, in quanto soddisfa commesse e richieste da tutte le parti d’Italia. Parlare quindi delle velaie di Cattolica è come parlare di un’istituzione che racchiude in sé una grande peculiarità, di cui Cattolica ne va giustamente orgogliosa. La "Manghina", la Maria sua figlia "Maria d’la Garanga", ed infine la Carmela, figlia della Maria e nipote della "Manghina", che ancora oggi porta avanti questo mestiere, sono autentici pilastri della memoria storica di Cattolica.

La velaia Maria Prioli

La velaia Maria Prioli.

La tinta della vela

La tinta della vela del motopeschereccio "Dante Alighieri". A destra Primo Medri "Gnon", Galimberti "Al Rimnes". Cattolica, 1939.

I CORDAI
Ogni giorno i cordai si alzavano prima dell’alba e iniziavano a lavorare al sorgere del sole. La materia prima, cioè la canapa, veniva acquistata a Bologna o a Cento (Ferrara), ma poteva essere anche ricavata dalle corde in disuso. Le grosse funi da rimorchio usurate venivano disfatte e trasformate in corde più sottili. Le corde di canapa venivano ordinate, oltre che dai marinai, anche dai contadini dell’entroterra che seminavano da soli la canapa, e portavano la materia prima ai cordai per fare la "cavezza", un tipo di corda sistemata alle corna dei buoi del carro agricolo, chiamato il "biroccio".
La "cavezza" fungeva da freno quando il carro andava in discesa. I cordai con la canapa costruivano per i contadini anche i "casèl", una grossa corda che serviva per legare il carico di fieno sul carro e "i murai mai bov", un cordame per le nasiere dei buoi che era utilizzato per governarli. La canapa doveva essere pettinata, prima di farne una corda, con pettini lunghi circa 50 cm. Per evitare le mareggiate i cordai svolgevano il loro lavoro alla fine della spiaggia, perché per stendere la fune avevano più spazio. Per attorcigliare la canapa, che il cordaio sfilava in un filo sottile andando all’indietro, veniva usata una grande ruota che, solitamente, veniva fatta girare da un bambino di circa dieci anni. I fili venivano a loro volta attorcigliati per farne una corda di diverso spessore, mentre il filo minuto di canapa, la "sparazèna", si otteneva dalla lavorazione del primo filo sottile.
I fili e le funi più grosse venivano allungate sopra i cosiddetti "rastrelli". In fondo, dalla parte opposta alla grande ruota, c’era una manovella, il "cavallo", che serviva per muovere una piccola e seconda ruota avvolgente. Quando si dovevano fare le corde più grosse, a tre fili o più le "capie" o i "numbule", allora "us mitiva al garbèn" strumento che serviva per non avvinghiare i fili . Poi veniva impiegato "al maz" attrezzo utilizzato per attorcigliare i "numbule", a questo punto il lavoro per creare la corda terminava tramite il funzionamento del "cavallo". Ci scusiamo per i termini tecnici e quelli in dialetto che rendono poco comprensibile il testo, tuttavia, è in questo modo che a quei tempi veniva lavorata la canapa e costruito il cordame per armare l’imbarcazione.

Cordai al lavoro

I fratelli Marchini, cordai al lavoro in prossimità del cantiere navale di Roberto Franchi "Rubert". Sullo sfondo il porto canale. Cattolica, 1920.

Fine Seconda Parte by Paolo Masi

Chi è Paolo Masi - torna all'articolo
Paolo MasiPaolo Masi, nasce a Cattolica il 2 Settembre 1941. Nel 1959 si trasferisce con la propria famiglia a Gabicce Mare dove intraprende l’attività alberghiera lasciatagli in eredità dal padre.
Nel 1958 e 1959 frequenta l’Istituto per Radiotelegrafisti Scuola Professionale Marittima di Rimini, ottenendo il brevetto di Radiotelegrafista. Le sue esperienze in mare iniziano tra la fine degli anni '50 e l’inizio degli anni '60, con immersioni in apnea.
Verso la metà degli anni '60 decide di passare, da autodidatta, alle immersioni con autorespiratore ad aria compressa. Dall’inizio degli anni '70 comincia a viaggiare e ad immergersi nei mari tropicali di tutto mondo, traendone una vasta documentazione cine fotografica. Tuttavia il suo rispetto ed il suo riconoscimento vanno al Mare Adriatico, al quale ha voluto dedicare un libro: Il nostro Mare Adriaticopiccolo…grande mare.
Durante gli anni ha avuto modo di scrivere anche altri interessanti testi, a testimonianza di quello che era la vita di mare dell’epoca.

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