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27 Aprile 2009

PREOCCUPANO MENO DI UN TEMPO I CLATRATI DEI FONDALI OCEANICI

Sui fondali marini il metano è legato ai sedimenti oceanici e al permafrost, ed è chiamato clatrato idrato, una sostanza simile al ghiaccio composta da metano e acqua. A causa dei cambiamenti climatici otrebbe essere rilasciato in atmosfera. Il metano è un gas serra e quindi il suo rilascio provocherebbe un ulteriore peggioramento delle condizioni attuali. Si innescherebbe un meccanismo di feedback positivo che si autoalimenta! "Se solo il 10% del metano proveniente dai clatrati fosse improvvisamente rilasciato in atmosfera, il risultante incremento nell'effetto serra sarebbe equivalente a un aumento di 10 volte del biossido di carbonio in atmosfera" afferma Vasilii Petrenko, ricercatore del Institute of Arctic and Alpine Research della CU-Boulder. Un'analisi del ghiaccio antico mostra un picco nell'emissione di gas metano circa 11.000 anni fa, originatosi dalle zone umide invece che dal fondo oceanico o dal permafrost: la scoperta dei ricercatori dell'Università del Colorado a Boulder permette di guardare con meno pessimismo alle previsioni dell'aumento dell'effetto serra e del riscaldamento globale. Quando la Terra uscì dall'ultima era glaciale, infatti, la temperatura in alcune regioni dell'emisfero settentrionale è aumentata di circa 10 gradi Celsius in soli 20 anni. Utilizzando il carbonio 14 come "tracciante" per datare e distinguere il metano delle zone umide dal metano clatrato, il gruppo internazionale di ricercatori è riuscito a fotografare un evento vecchio di 11.600 anni, stabilendo che il contributo più importante fu dovuto in effetti alle zone umide. Non per questo comunque, affermano i ricercatori autori dello studio, dobbiamo preoccuparci meno del rilascio di metano dai fondali oceanici!

Fonte: Le Scienze!

25 Aprile 2009

PROBLEMI PER GLI ALLEVAMENTI DI SALMONE IN NORVEGIA

L'anemia dei salmoni (ISA, Infectious salmon anaemia), registrata per la prima volta nel 1984 in Norvegia, e poi diffusasi in ogni parte del mondo, soprattutto in Cile, si sta evolvendo. L'agente patogeno è un Ortomixovirus marino, che appartiene alla stessa famiglia che causa nei mammiferi e negli uccelli l'influenza di tipo A. Dal 1984 ad oggi sono stati registrati oltre 460 casi nel mondo, e nel 1990 solo in Norvegia, sono stati segnalati circa 90 casi di infezione. Negli ultimi anni l'infezione si è ulteriormente diffusa e risulta sempre più difficile mantenerne il controllo. Non tutte le varianti dell' Ortomixovirus sono virulente, ma basta una piccolissima variazione del materiale genetico del virus per scatenare la malattia. In particolare Turhan Markussen e colleghi hanno evidenziato come il cambiamento delle proteine di superficie, in particolare delle emoagglutinine esterasi (HE), sia sufficiente a rendere un ceppo più virulento di altri. Sebbene nei virus influenzali la cosa sia nota da tempo, nell'Ortomixovirus marino questo non era stato ancora evidenziato. Il virus produce sostanze che interferiscono con la produzione degli interferoni nei pesci, abbassando le loro difese immunitarie, rendendoli così vulnerabili nei confronti di altre malattie. Ora gli studi si concentrano sulle possibili cause che "accendono" i geni responsabili della biosintesi delle emoagglutinine esterasi.

24 Aprile 2009

SEGNALI POSITIVI DALLA GRANDE BARRIERA CORALLINA AUSTRALIANA (espandi | comprimi)

Sorpresi i biologi marini che si occupano della GBR australiana. In particolare ha riservato una sorpresa inaspettata la zona delle Keppel Islands, colpita da gravissimi fenomeni di sbiancamento dei coralli (bleaching) nel 2006. La zona danneggiata è stata ricoperta molto presto da alghe e altri organismi bentonici diversi dai coralli, il che ha portato in poco tempo alla loro totale scomparsa in quella zona. Poi una serie di eventi ancora da chiarire ha portato in un solo anno, alla ricomparsa degli stessi coralli. I meccanismi ecologici alla base della ripresa, afferma Guillermo Diaz-Pulido, dell' ARC Centre of Excellente for Coral Reef Studies (CoECRS), e del Centre for Marine Studies, University of Queensland, non sono del tutto compresi, ma sembrano almeno tre gli eventi importanti alla base della ricomparsa....[Clicca su espandi]

Primo, il fatto che molti frammenti di corallo sono in realtà sopravvissuti; secondo la stagione è probabilmente stata propizia per la ripresa; terzo, la competitività ecologica dei coralli è verosimilmente molto elevata, il che ha permesso loro di acquisire nuvamente e in breve tempo gli spazi perduti. Il fatto poi che l'area marina risulti protetta ha contribuito sicuramente alla ripresa dei coralli. L'aspetto interessante, afferma sempre Diaz-Pulido, è che la riproduzione asessuale ha avuto un'importanza notevole per la resilenza del reef, e il fatto che alcuni frammenti della colonia originaria siano sopravvissuti è stato determinante. Altrimenti attraverso la riproduzione sessuale (con gamenti provenienti da colonie lontane), i tempi sarebbero stati ben più lunghi, almeno 10 o 20 anni. In tutto il mondo i coralli stanno subendo gli effetti delle attività antropiche e dei cambiamenti climatici. Il degrado della qualità delle acque e l'overfishing contribuiscono in modo significativo alla perdita dei reef, e non sempre circostanze fortuite come quelle verificatesi presso le Keppel Islands possono verificarsi, per cui è urgente intervenire limitando la quantità della CO2 atmosferica, responsabile dell'acidificazione degli oceani, e sulle attività di pesca, che indirettamente si manifestano, con effetti molto gravi, sulla qualità dei reef.
Fonte:PlosOne Doom and Boom on a resilent reef: Climate change, algal overgrowth and coral recovery, by Guillermo Diaz-Pulido, Laurence J. McCook, Sophie Dove, Ray Berkelmans, George Roff, David I. Kline, Scarla Weeks, Richard D. Evans, David H. Williamson and Ove Hoegh-Guldberg.

18 Aprile 2009

SI POTREBBE ESTENDRE E LA "OCEAN DEAD ZONES"

Si estende la zona anossica degli oceani. Secondo uno studio pubblicato da un'equipe di lavoro del Monterey Bay Aquarium Research Institute (MBARI), a causa dell'aumento dell'anidride carbonica in atmosfera e del conseguente incremento dell'acidificazione degli oceani, potrebbe calare sensibilmente il tenore di ossigeno disciolto nell'acqua, e provocare quindi un'estensione della "Ocean dead zones". Peter Brewer e Edward Peltzer, nel loro articolo pubblicato su Science, si sono basati su dati gia acquisiti e su dati recenti, e hanno mostrato come la pressione parziale di CO2 (ppCO2), è molto superiore ai valori previsti nelle suddette aree, determinando quindi un calo significativo, e ulteriore, dei livelli di ossigeno in aree dell'oceano gia compromesse. Questo potrebbe provocare serie conseguenze sulla vita marina. Gli autori dello studio hanno poi introdotto il concetto di "indice di respirazione" (respiration index), basato proprio sul tenore di CO2 e di ossigeno disciolti, mentre in passato le dead zone erano individuate solamente attraverso i valori dell'ossigeno. Tipicamente si è riscontrato, a profondità comprese tra 1 e 3000 metri che il suddetto indice è molto basso in gran parte degli oceani, a causa dell'aumento della concentrazione di CO2 atmosferica. Negli ultimi 10 anni, i valori della ppCO2 erano compresi tra 280 to 560 microATM, mentre gli ultimi dati acquisiti indicano valori compresi tra 1.000 e 2.500 microATM.

Fonte: Peter G. Brewer and Edward T. Peltzer - Limits to Marine Life: Science 17 April 2009 Vol. 324. N 5925, pp. 347 - 348.

16 Aprile 2009

RIMUOVERE IL MERCURIO DALL'OLIO DI PESCE E MANTENERE GLI EFFETTI BENEFICI DEGLI OMEGA 3

La notizizia è del 14 aprile 09. L'olio di pesce, la cui domanda è in continuo aumento nel mondo, contiene elevate quantità di mercurio. Ora un gruppo di lavoro Norvegese e Francese ha messo a punto un nuovo metodo a basso costo per rimuoverlo. Bente Gilbu Tilset, coordinatore dell' EUREKA Project E!3198 RFO (Refinement of Fish Oils), sviluppato in collaborazione con il SINTEF, gruppo di ricerca indipendente, afferma che la metodica è efficace e a basso costo. La metodica è stata sperimentata solo in laboratrio, è utilizza filtri in ceramica, sviluppati in passato per rimuovere dai derivati del pesce PCB e diossine. A giorni la metodica sarà messo a punto presso il sito di Copalis, in Francia, e si prevede che sarà estesa in Perù, Cile e Argentina, dove il commercio dell'olio di pesce è rilevante ed economicamente importante.

07 Aprile 2009

SCOPERTA IN BENGALA UNA NUOVA POPOLAZIONE DELLA RARA Orcaella brevirostris

La notizia, che risale a diversi giorni fa, arriva dalla Wildlife Conservation Society (WCS). Una grande popolazione, forse 6000 individui, della rara Orcella (Orcaella brevirostris), è stata scoperta nel Bengala. Questo emerge da uno studio di Brian D. Smith, Rubaiyat Mansur Mowgli e Samantha Strindberg della Wildlife Conservation Society (WCS), e pubblicato sulla rivista Journal of Cetacean Research and Management. La specie è molto rara ed è difficile osservarla in natura. E' diffusa nelle zone tropicali dell'Indo-Pacifico, attorno alle foreste di mangrovie e ai delta dei fiumi, soprattutto Brahmaputra e Gange in India, il Mekong in Vietnam, Laos e Cambogia, Il Mahakam nel Borneo, e infine l'Irrawaddy nel Burma, da cui il nome anglosasssone Irrawaddy dolphins. La popolazione appena scoperta si trova nelle foreste di mangrovie del Bangladesh’s Sundarbans, situata nella Baia del Bengala. La notizia è confortante, poichè attualmente tutte le specie di piccoli cetacei, soprattutto di acqua dolci sono scomparse o sono seriamente minacciate. Per la protezione dell'Orcella sono attivati, oltre al Ministero per le Foreste e lo Sviluppo del Bangladesh, la stessa WCS (supportata dalla CMS, Convention on Migratory Species of Wild Animals) e la Marine Foundation and Ocean Park Conservation Foundation (OPCFHK) di Hong Kong.

05 Aprile 2009

LIBERO ACCESSO AL DATA BASE DELLA BIODIVESITA' MARINA ANTARTICA

Grazie ai progetti dell' International Polar Year (IPY), che si è concluso nel Marzo 2009, saranno disponibili online tutte le informazioni sulla Biodiversità Marina Antartica. Il Data Base, creato dallo Scientific Committee on Antartic Research e dall' International Council for Science, denominato Marine Biodiversity Information Network (SCAR-MarBin), sarà disponibile online e aperto a tutti. Il progetto (con sede al Royal Belgian Institute of Natural Sciences di Brussels), iniziato da Claude De Broyer and Bruno Danis sarà portato avanti da oltre cento scienziati che hanno attivamente collaborato in Antartide. Saranno disponibili informazioni su oltre 15.000 taxa che andranno ad integrare il World Register of Marine Species (WoRMS) che contiene attualmente 122.500 specie.

04 Aprile 2009

SCOPERTO NUOVO FOSSILE DI TARTARUGA

Ci sono nuove notizie per quanto riguarda l’evoluzione delle specie. In questo caso ci riferiamo alla scoperta di un fossile di tartaruga marina, la cui corazza è rimasta sostanzialmente invariata da 180 milioni di anni. Il nuovo fossile è stato scoperto in Cina. Si tratta di una Odontochelide, che risale a 220 milioni di anni, e che ha permesso di risalire alle varie fasi evolutive della specie. Ii fossili fino ad ora ritrovati suggeriscono come le prime tartarughe avessero solo il ventre corazzato, grazie alla presenza di una piastra ossea. Il dorso di questo fossile invece mostra che era privo corazza, quindi si riapre il dibattito su come effettivamente fossero le prime tartarughe. Molti fossili, ritrovati in Messico ma anche nel resto del mondo, ci mostrano animali terrestri avvolti in una sorta di corazza a protezione del corpo. La tartaruga prima di divire marina, era come una sorta di lucertola, via via ha poi sviluppato una corazza, dapprima leggermente accennata sul dorso e poi sempre più coriacea e spessa, fino a trasformarsi nella tartaruga che oggi si conosce. Il rettile fossile ritrovato mostra dei denti, invece che del classico becco delle tartarughe attuali ed un piastrone inferiore, questo indica che era un animale che doveva proteggersi dagli attacchi dei predatori provenienti dal basso, utile per l’appunto alle specie marine. Con questo nuovo ritrovamento, si sono aperte le diatribe tra studiosi e ricercatori, alcuni sostengono come il Dottore Chun Li, che le tartarughe si sono evolute da rettili che già vivevano in acqua, altri invece sostengono che le attuali tartarughe marine, derivano da rettili terrestri che sono andati in avanscoperta, come degli esploratori in mare.

Tartarughe

I disegni mostrano l’evoluzione del rettile, dalla terra al mare.

SCOPERTA L'ORIGINE DELLA NEUROTOSSINA AZASPIRACIDE

La rivista European Journal of Phycoloy (Vol. 44/1: p. 63-79) ha pubblicato un articolo sull'origine, finalmente accertata, della neurotossina Azaspiracide, responsabile della Azaspiracid shellfish poisoning (ASP) e prodotta dalla Dinoflagellata Azadinium spinosum. Le ricerche sono state condotte da Alfred Wegener del Alfred Wegener Institute for Polar and Marine Research , e hanno portato alla scoperta della nuova specie assegnata peraltro ad un nuovo genere. La dinoflagellata è stata riprodotta in laboratorio dove è stato possibile poi evidenziare la produzione della neurotossina. La sindrome ASP si contrae attraverso il consumo di mitili (mussels) contaminati, e si manifesta con effetti compresi entro un range molto vasto, e nei casi estremi può portare alla morte. Il primo caso fu segnalato in Olanda nel 1995, dopo che alcune persone avevano consumato mitili provenienti dall'Irlanda. In tal caso fu identificata come responsabile la specie Protoperidinium crassipes. Le ricerche condotte ora, in particolare dai dottori Urban Tillmann e Bernd Krock entrambi del Alfred Wegener Institute for Polar and Marine Research , hanno dimostrato che Protoperidinium è solo un vettore. Ora le ricerche mirano alla determinazione dei fattori ambientali ed ecologici che portano la Dinoflagellata alla produzione della pericolosa neurotossina. L'articolo originale è disponibile qui.

News correlate: UNA NUOVA VARIANTE DELLA TOSSINA DSP del 03 Mar 2009.