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Invitiamo coloro che hanno interesse per la vicenda del Golfo del Messico, a seguirci sulla pagina dedicata.

30 Giugno 2010

ANCHE LA NEOFOCENA RISCHIA L'ESTINZIONE
La neofocena (Neophocaena phocaenoides), splendido cetaceo dal corpo affusolato e idrodinamico, rischia di scomparire. Un tempo diffusa lungo le coste dall'India al Giappone, soprattutto in quest'ultimo paese ha rischiato di scomparire per sempre a causa della caccia indiscriminata. Ora, seppur protetta, è comunque in declino.
I ricercatori ora hanno confermato ciò che si sospettava da tempo, ovvero che la popolazione che vive nelle torbide acque del fiume Yangtze è geneticamente distinta dalle altre due popolazioni marine, quelle del Mar Giallo e del Mare Cinese del Sud. E' stato analizzato il DNA di 125 individui sia marini che di acqua dolce, e questo ha permesso di evidenziare le variazioni genetiche esistenti tra gli esemplari del fiume Yangtze e quelle di mare.
La neofocena è molto timida e difficile da avvicinare, anche se gli esemplari del fiume Yangtze ormai abituati al traffico navale e all'uomo sono più facili da osservare. In genere gli esemplari marini non si allontana molto dalla costa e preferisce ambienti di transizione, come lagune e paludi salate, mangrovieti, estuari e delta. Gli esemplari adulti sono lunghi da 1.2 a 1.9 metri, sono privi di pinna dorsale e al suo posto portano una cresta ricoperta da tubercoli. Purtroppo in dieci anni, dal 1997 al 2007, tutte le popolazioni monitorate si sono dimezzate, ed ora il calo è del 7.3% all'anno. Fonte: Marine Biology.

28 Giugno 2010

RIFIUTI...SOMMERSI
Pessime notizie dall’arcipelago della Maddalena. La visione del filmato diffuso dal settimanale L’Espresso, realizzato da Fabrizio Gatti, che documenta la discarica sottomarina attorno all’isola, ha dell’incredibile. Un’area dichiarata bonificata si presenta agli occhi del reporter deturpata, inquinata e satura di sostanze altamente tossiche. Ciò che lascia praticamente sbigottiti è la totale assenza di forme di vita, in un’area che per sua natura dovrebbe invece brulicare di organismi marini. Se secondo i dati dell’ISPRA il bacino interno risulta fortemente inquinato, non risulta (ufficialmente) altrettanto per la parte esterna, l'arcinota Main Conference, perchè nessuno ha mai campionato l’area. In realtà il bacino esterno è altrettanto compromesso, e sul fondale si vedono sedimenti contaminati da sostanze oleose e dense, probabilmente residui di idrocarburi pesanti, lastre di cemento-amianto, calcinacci e frammenti di ogni tipo. Sia la colonna d'acqua che il fondale sono praticamente privi di ogni forma di vita.

Da Palermo arrivato altre immagini, che documentano lo stato del porto della città, il cui fondale cela una marea di rifiuti, dalle batterie per auto alle lavatrici, dalle cassette di plastica agli pneumatici. La buona notizia è che una cooperativa locale si è offerta di ripulire l'area interessata, ma prima deve essere risolto il problema dei rifiuti che in questi giorni sommergono la città siciliana. Il video è disponibile qui!

26 Giugno 2010

TARTARUGHE INTRAPPOLATE E BRUCIATE VIVE
Il quotidiano britannico The Guardian denuncia l'uccisione dei poveri animali da parte della BP che continua a bruciare petrolio, metodo inutile e sbrigativo, poiché gli incendi permettono di eliminare solo la frazione più leggera del greggio. Alcuni rettili hanno avuto la sfortuna di emergere proprio all'interno della chiazza poi incendiata dai contractor della BP, provocando la morte dei poveri animali. Nel Golfo del Messico vivono specie rare e a rischio estinzione, come la tartaruga marina di Kemp’s Ridley (Lepidochelys kempii) e nonostante il governo USA abbia esplicitamente rischiesto alla compagnia di risparmiare gli animali, la stessa compagnia ha subito disatteso gli accordi.
Apprendiamo inoltre, che nei giorni scorsi sono stati catturati e uccisi un numero imprecisato di delfini, tartarughe e altri animali marini rimasti intrappolati nelle reti dei pescatori di gamberi, che hanno fatto una sorta di pesca-mattanza poco prima che la marea nera arrivasse lungo le coste della Louisiana. Delfini e altri animali sono stati catturati perchè le reti che normalmente dispongono di un'apertura per permettere la fuga ai grandi animali, in quest'occasione erano state volutamente private di tale scappatoia, al fine di catturare quanti più gamberi possibile.

24 Giugno 2010

L'UOMO COME UNA GRANDE CATASTROFE NATURALE
L'attivita' dell'uomo sta innescando rapidi cambiamenti climatici di proporzioni simili alle grandi catastrofi naturali del passato. A sostenerlo, con uno speciale pubblicato sulla rivista Science, l'australiano Ove Hoegh-Guldberg dell'universita' del Queensland e l'americano John Bruno dell'universita' della North Carolina.
Appena gli oceani hanno cominciato ad assorbire crescenti quantità di calore e anidride carbonica, proseguono i ricercatori, la loro acidità è aumentata e in alcuni luoghi il regime delle correnti marine è cambiato. Questi effetti hanno avuto ripercussioni sulle dinamiche delle reti alimentari, gli habitat delle specie, la loro distribuzione e la frequenza delle malattie.
Lo speciale intitolato Changing Oceans, comprende una raccolta di articoli scientifici originali e di analisi delle conoscenze attuali. Che cosa emerge? Che l’uomo, appunto, sta modificando gli oceani, non solo con la pesca ma anche nella sua composizione chimica.

QUANTI RUBBISH DUMP?
l due mix di spazzatura del Pacifico, noti come rubbish dump o rubbish soup, da 100 milioni di tonnellate, per lo più plastica, che galleggiano tra le Hawaii e il Giappone, in pieno Oceano Pacifico, e con un’estensione pari a due volte quella degli Stati Uniti non sono soli. Ne esistono altri due, entrambi nell'Oceano Pacifico, uno a sud e l'altro a nord. Ricordiamo che a scoprire il primo Great Pacific Garbage Patch o trash vortex fu Charles Moore, oceanografo americano fondatore dell' Algalita Marine Research Foundation. Fonte: the Indipendent.
Il sito e il diario online della spedizone Nord Atlantica.

Spazzatura negli oceani

23 Giugno 2010

IL DESTINO DELLE BALENE 2
Nessun compromesso ad Agadir. La Commissione Baleniera Internazionale (IWC), riunitasi nella località marocchina ha dovuto constatare per ora il fallimento del tentativo di trovare un compromesso tra i paesi favorevoli alla caccia e quelli contrari. Sul fronte anti-caccia Stati Uniti e Brasile hanno infatti denunciato "l'incapacità di passare a un nuovo paradigma" e la "mancanza di maturità politica", mentre dall'altra parte il Giappone ritiene che "non vi sia in vista alcuna prospettiva di accordo", nonostante le proposte di compromesso avanzate da Tokyo. Il Giappone ha infatti offerto di "dimezzare le quote di caccia nell'emisfero australe, di sospendere la concessione di nuovi permessi e di accettare dei meccanismi di controllo internazionale a bordo dei suoi pescherecci", mentre i Paesi contrari "vogliono solo la fine della caccia nell'Antartico, il che non è realistico", ha dichiarato il capo-delegazione nipponico, il neozelandese Glenn Inwood. Fonte: La Stampa.

22 Giugno 2010

IL DESTINO DELLE BALENE 1
Entro domani verrà reso noto l'esito della riunione, rigorosamente a porte chiuse, che si sta tenendo ad Agadir, in Marocco, dai Paesi membri della Commissione Baleniera Internazionale (IWC). Si deciderà insomma se permettere ai tre paesi che ancora cacciano i grandi cetacei, Islanda, Norvegia e Giappone, di continuare indisturbati ma con quote ridotte. Secondo Joanna Toole, direttore del programma mammiferi della World Society for the Protection of Animals (WSPA) la proposta è inaccettabile, e se la moratoria dovesse essere abrogata riprenderà il massacro come un tempo, e la pesca sarà praticamente incontrollabile.
Negli anni scorso sono state uccise in media 1.000 balene all'anno, con picchi di 2.000 esemplari durante il 2006.
Fondamentale sarà il voto del blocco dell’Unione Europea: 25 dei 27 Paesi UE fanno parte infatti dell’IWC, e il loro voto sarà decisivo per l’esito del meeting. Fonte: The Indipendent.

NUOVI BATTERI ANTIBIOTICO-RESISTENTI DAGLI SQUALI
Mark Mitchell, professore di veterinaria della Clinical Medicine at the University of Illinois, coautore di uno studio appena pubblicato sulla rivista Journal of Zoo and Wildlife Medicine, evidenzia come siano sempre più presenti batteri resistenti agli antibiotici, e questa volta i microrganismi in questione sono stati islolati da sette specie di squali. Gli squali studiati, presenti nelle acque del Belize, della Florida, della Louisiana e del Massachusetts, si nutrono normalmente di crosatacei, piccoli pesci e qualche invertebrato. Ebbene l'origine di questa resistenza è ancora una volta da ricercarsi nelle attività umane, e nell'abuso quotidiano di antibiotici che poi finiscono in mare attraverso le acque di scolo (sewage water). E infatti le aree del Belize oggetto dello studio sono tipicamente turistiche, e le acque di scolo sono un problema notevole, come lo sono per le altre aree studiate.
In totale sono stati isolati 134 batteri e testate 13 sostanze antibiotiche, ovvero penicellina G, piperacillina, ticarcillina, cefotaxime, ceftazidime, ceftiofur, amikacina, gentamicina, ciprofloxacina, enrofloxacina, doxiciclina, cloramfenicolo e sulfametoxazolo.
Lo studio ha preso in considerazione anche altri pesci come Sciaenops ocellata (Linneo, 1766), o Red drum, specie usata anche in acquariologia, e la sua flora batterica ha mostrato una multiresistenza alle sostanze testate.
Fonte: Jason K. Blackburn, Mark A. Mitchell, Mary-Claire Holley Blackburn, Andrew Curtis, Bruce A. Thompson.Evidence of Antibiotic Resistance in Free-Swimming, Top-Level Marine Predatory Fishes. Journal of Zoo and Wildlife Medicine, 2010; 41 (1): 7

Elenco batteri antibiotico resistenti

NUOVO VULCANO IN ITALIA
L'Italia ha un nuovo vulcano: non ha ancora un nome, è spento da un periodo ormai lunghissimo, compreso fra 670.000 e un milione di anni, e si trova nel Tirreno meridionale, al largo della Calabria, di fronte a Capo Vaticano. La scoperta, dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) in collaborazione con l'università della Calabria, è in via di pubblicazione sul Journal of Geophysical Research. Il nuovo vulcano è di medie dimensioni, la sua sommità si trova a 120 metri sotto il livello del mare, si estende per circa 15 chilometri e si trova sulla stessa faglia che ha dato origine al terremoto in Calabria del 1905. "E' un vulcano che ormai non desta più alcuna preoccupazione", ha detto Massimo Chiappini, che fa parte del gruppo di ricerca composta da Riccardo De Ritis, Guido Ventura, Iacopo Nicolosi e Fabio Speranza. "La sua scoperta - aggiunge - rimette però in discussione i modelli geodinamici della zona", per esempio quelli che spiegano la formazione delle Eolie. Il numero dei vulcani italiani sale così a 29. Di questi, 16 sono spenti; 9 attivi (Vesuvio, Etna, Vulcano, Lipari, Stromboli, Panarea, Ischia, Campi Flegrei e Pantelleria) e quattro sono in fase di studio (Palinuro, Salina, Marsili, Colli Albani). Fonte: ANSA

21 Giugno 2010

LE TANTE ESTINZIONI DELLO....YANGTZE
Dopo l’estinzione del delfino di fiume o Baiji, nel fiume Yangtze, annunciata nel dicembre del 2006, dalla Cina arrivano altre preoccupanti notizie. Stanno scomparendo quasi tutti i pesci delle acque dolci, infatti ben l’80% delle specie sono a rischio estinzione e moltissime non sono gia più segnalate. Quindi non solo l’alligatore dello Yangtze (Alligator sinensis , FAUVEL, 1879) che vive ormai solo nella zona di confluenza dei fiumi Jiangsu, Zhejiang e Anhui, o la tartaruga Rafetus swinhoei (ormai è da considerare estinta allo stato selvatico) o il famoso pesce spatola cinese o Wei (Psephurus gladius, Günther, 1873), specie anadromica, lungo sino a 5 metri e ormai scomparsa a causa della pesca eccessiva, dell’inquinamento del fiume, e più in generale della distruzione dell’habitat, ma sono centinaia e centinaia le specie che rischiano di sparire per sempre. In pochi decenni il colosso asiatico, il cui sviluppo è proseguito senza l'adozione di criteri conservazionistici efficaci, è riuscito a distruggere irrimediabilmente uno dei più grandi e lunghi fiumi del mondo, e nessuno è in grado di pronosticare e prevedere gli effetti di questo scempio ecologico.

Tartaruga dello Yangtze La tartaruga dello Yangtze (Rafetus swinhoei) in cattività.

19 Giugno 2010

SEPARARE IL PETROLIO DALL'ACQUA
Il professor William Kepler e il suo assistente Di Gao del Department of Chemical and Petroleum Engineering della Pitt's Swanson School of Engineering, hanno testato con successo un metodo semplice ed economico per separare l'acqua dal greggio, attraverso l'utilizzo di filtri in cotone contenenti polimeri idrofobici. Di Gao è divenuto famoso per aver sperimentato con successo nanostrutture che impediscono la formazione di ghiaccio su superfici solide, che potrebbero essere utlizzate sulle piste di decollo.

Solution for Mexico Gulf Oil Spill Clean-up

18 Giugno 2010

FOTO SHOCK
Greenpeace ha pubblicato per la prima volta le foto scattate durante la fase di costruzione del porto somalo di Eel Ma'aan. Si vedono chiaramente dei container interrati di provenienza sconosciuta, contenenti probabilmente rifiuti sospetti. Le foto e il rapporto sono consultabili qui!

LA SORPENDENTE FUNZIONE DEI "BAFFI" DELLE FOCHE
Alcuni ricercatori dell' Institute for Biosciences dell'Università di Rostock (Germania) e della University of Southern Denmar hanno condotto un esperimento bendando un esemplare di foca comune (Phoca vitulina) conosciuta allo zoo di Cologne con il nome di Henry. L'esperimento è avvenuto utilizzando delle speciali cuffie per impedire ad Henry di vedere e sentire, ma nonostante questo, riusciva ugualmente a seguire delle traiettorie di pesci finti e mossi dai ricercatori. I mustacchi, i baffi delle foche, o più tecnicamente il sistema delle vibrisse, permette alle foche di percepire i movimenti delle prede anche a notevole distanza, forse sono in grado di riconoscere anche le forme e le dimensioni della preda, e decidere se può essere attaccata o meno. Ora, afferma Wolf Hanke, direttore dello studio, il prossimo passo è quello di sperimentare con pesci veri e stabilire se la foca sia o meno in grado di inseguire le sue prede che si muoveranno con traiettorie molto più complesse. Fonte: Journal of Experimental Biology: Hydrodynamic determination of the moving direction of an artificial fin by a harbour seal (Phoca vitulina).

16 Giugno 2010

L'ENDOTERMIA DEI GRANDI RETTILI MARINI DEL MESOZOICO
Uno studio condotto dai ricercatori del Laboratoire PaléoEnvironnements et PaléobioSphère (PEPS, CNRS dell’Università di Lione 1) in collaborazione con gli scienziati  del Muséum National d'Histoire Naturelle e l’ École Normale Supérieure, e pubblicato sulla rivista Science, ha cercato per la prima volta di capire se i grandi rettili marini che vissero durante l’era Mesozoica tra 200 e 65 milioni di anni fa, erano animali ectotermi o endotermi. All’epoca i mari erano dominati da Ittiosauri, Pleiosauri, Sauropterigi  e Mosasauri, che conquistarono gli oceani probabilmente grazie al fatto che la determinazione del sesso, in questi gruppi di animali, non dipendeva dalla temperatura ambientale, e quindi non vi era necessità di partorire sulla terraferma. La capacità di condurre l’intero ciclo di vita in acqua permise loro di conquistare tutti i mari del globo. Ma come regolavano la loro temperatura corporea?
I ricercatori hanno analizzato nei tre principali gruppi (Ittiosauri, Pleiosaurie Mosasauri) i rapporti isotopici nel fosfato dei resti fossili tra l’ossigeno 18 e l’ossigeno 16. I pesci, che sono organismi ectotermi, mostrano un rapporto isotopico che riflette la temperatura media dell’acqua di mare i cui vivono, e il rapporto O18/O16 è tanto minore quanto maggiore è la temperatura media dell’acqua. Comparando i dati attuali con quelli emersi dall’analisi dei resti di fosfato, sembra che i grandi rettili marini fossero capaci di regolare la temperatura corporea, compresa tra i 35 e i 39 °C (+2). Questo evidenzia anche la loro natura di temibili predatori, perchè alte temperature corporee indicano grandi capacità e velocità nel nuoto. Fonte: Science!

ACQUE INQUINATE DA ERBICIDI, FUNGICIDI E INSETTICIDI
Fungicidi e insetticidi ma soprattutto erbicidi: queste le sostanze più comunemente rilevate dalla rete di controllo ambientale nelle acque superficiali e sotterranee italiane. Sono utilizzate in agricoltura e, complici le piogge, vengono trasportate dal suolo alle acque sotterranee e superficiali. In Italia, solo il comparto agricolo impiega oltre 300 diverse sostanze, per un quantitativo pari a circa 150.000 tonnellate all'anno.
Questi alcuni dei dati contenuti nel Rapporto Monitoraggio nazionale dei pesticidi nelle acque, realizzato dall'Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), sulla base delle informazioni fornite dalle Regioni e dalle Agenzie regionali e provinciali per la protezione dell'ambiente.
Ben 118 i tipi di pesticidi individuati nelle acque italiane ambientali che, concepiti per combattere gli organismi nocivi, sono potenzialmente pericolosi anche per l'uomo.
Nel biennio 2007-2008, si legge nel Rapporto, sono stati valutati 19.201 campioni, provenienti dalle 18 regioni che hanno trasmesso i dati. Oltre alla copertura del territorio nazionale, tuttora incompleta, ci sono notevoli differenze tra le regioni: il monitoraggio risulta, infatti, più efficace al Nord mentre al Centro-Sud è spesso limitato a poche sostanze e, pertanto, poco rappresentativo.
Nel 2008, in particolare, le indagini hanno riguardato 3.136 punti di campionamento e 9.531 campioni. Rinvenuti residui di pesticidi nel 47,9% dei 1.082 punti di monitoraggio delle acque superficiali, nel 31.7% dei casi con concentrazioni superiori ai limiti delle acque potabili. Nelle acque sotterranee, contaminato il 27% dei 2.054 punti, nel 15.5% dei casi con concentrazioni superiori ai limiti.
Le sostanze più presenti sono gli erbicidi come la terbutilazina, utilizzata nelle coltivazioni del mais e del sorgo soprattutto in Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna. Alcune sostanze sono state riscontrate con una frequenza maggiore rispetto al passato, come il fungicida carbendazim e gli insetticidi metomil e imidacloprid. Nella maggior parte dei campioni, inoltre, erano presenti contemporaneamente più sostanze, fino a un massimo di 15. Fonte: Almanacco della Scienza.

15 Giugno 2010

DEEPWATER HORIZON 9
A più di 50 giorni dall'inizio del disastro, un panel di esperti riuniti a Washington discute sui danni provocati dalla mare nera. Dal plancton al tonno rosso del Mediterraneo, gli effetti sono praticamente indescrivibili e tanto meno pronosticabili. L'unica cosa certa è che i danni maggiori sono quelli che non possiamo vedere dalla superficie. I disperdenti, utilizzati senza cognizione di causa, hanno permesso alla parte più pesante e insolubile del greggio di precipitare sul fondo, coprendo come un velo nero l'intero ecosistema bentonico.
Secondo Thomas Shirley,  professore della Texas A&M University, le sostanze utilizzate (come il Coretix, i cui effetti tossici sono stati denunciati anche dalla rivista Nature) potrebbero causare ulteriori danni agli animali, facilitando l'ingresso della componente tossica nella catena alimentare. Uno dei timori principali, infatti, è rappresentato dal fatto che le micro-gocce generate dall'interazione petrolio-agenti disperdenti possano avere un effetto altamente tossico per il gradino più basso della rete alimentare, vale a dire il plancton. Le sostanze tossiche così si potrebbero accumulare nei vari animali, dalle larve dei pesci e dei crostacei, fino ad arrivare alle tartarughe e ai grandi mammiferi, attraverso un processo noto come biomagnificazione. “E in questo caso – ha sottolineato Shirley – la perdita sarebbe incalcolabile, vista la lentezza del ciclo riproduttivo di animali come il capodoglio e la tartaruga di Kemp, che inizia a riprodursi verso il nono anno di età” (per una panoramica sulla biodiversità nel Golfo del Messico si veda il sito dell'Harte Research Institute Gulf of Mexico Studies).
L'unica nota positiva viene dal fatto che l'ecosistema del Golfo del Messico è in parte abituato al petrolio. Nella zona si verifica una dispersione di greggio continua, come ha ricordato Twilley: “Ogni anno si riversano nel Golfo decine di milioni di litri di petrolio e, per questo, esistono batteri specializzati nel metabolizzarlo”. Sebbene non possano azzerarne gli effetti, questi batteri potrebbero accelerare la convalescenza degli ecosistemi. È però estremamente difficile fare previsioni. A ventuno anni dalla tragedia della Exxon Valdez in Alaska (in cui da una petroliera finirono in mare 40 milioni di greggio), i danni si fanno ancora sentire e gli animali continuano a morire. Fonte: Galileo

ONLINE LE MAPPE DELLE AREE MARINE PROTETTE DEL NORD AMERICA
L'ultima versione del North American Environmental Atlas coordinata dalla Commission for Environmental Cooperation (CEC), permette di visionare le aree marine protette di tutto il nord America, ovvero Canada, Stati Uniti e Messico. Le funzioni e l'importanza di tali aree è cruciale per preservare e mantenere integre l'ecologia degli habitat marini, e salvaguardare così numerosissime specie di pesci, uccelli e mammiferi marini. Inoltre si dimostrano estremamente utili come aree di recovery, nel caso in cui, come quello attuale, si verifichino incidenti drammatici e massivi fenomeni di polluzione e inquinamento da idrocarburi.
Rimane ancora da sciogliere il nodo dei diversi livelli di protezione, per esempio le aree marine dell'Alaska sono molto meno numerose di quelle del Messico e sono diversi i criteri di gestione. Occorrerebbe tutelare le aree con criteri omogenei al fine di ottenere risultati soddisfacenti.
Un video inroduttivo si trova sul sito della Commission for Environmental Cooperation (vedere qui)! Altre informazioni:

Canadian Council on Ecological Areas;

Quebec's Ministry of Sustainable Development, Environment and Parks;

Mexico's Comisión Nacional de Áreas Naturales Protegidas;

11 giugno 2010

L'INVASIONE DELLE MEDUSE
Anche quest'anno le meduse sono arrivate. Nella laguna di Orbetello sono in arrivo, secondo alcuni osservatori, tre nuove specie (Phyllorhiza punctata che arriva dal Canale di Suez e che nuota rovesciata, Cassiopea andromeda che arriva dalla stessa zona, e infine Drymonema dalmatinum, grande medusa, che può arrivare sino a 1 metro di diametro), mentre i mari della Liguria sono invasi dalla Pelagia noctiluca. L'Adriatico ha visto nei giorni socrsi un'invasione e una successiva moria di Aurelia aurita, e una seconda ondata di una specie non identificata ma comunque innocua (foto sotostante). Segnalata, in diverse occasioni, la temibile caravella portoghese (Physalia physalia), da Malta alla Liguria.
Intanto prosegue anche quest'anno il progetto Occhio alla medusa (locandina in pdf scaricabile qui), partito lo scorso anno grazie all’idea del Prof. Ferdinando Boero, docente di Biologia Marina all’Università del Salento, e promosso dalla Commissione per il Mediterraneo, dal Consorzio Nazionale Interuniversitario per le Scienze del Mare (CoNISMa) e dall’associazione ambientalista Marevivo. Per contribuire e segnalare l’avvistamento di meduse è sufficiente inviare un’email a boero@unisalento.it, indicando la data di osservazione, la specie dell’animale e la zona di osservazione, come indicato nel poster del progetto.

Medusa

Medusa identificata come Aurelia aurita comparsa in Adriatico, in gran quantità, il 6 Giugno scorso (Zone Number 48)

Leggi l'articolo L'INVASIONE DELLE MEDUSE

10 giugno 2010

L'EVOLUZIONE DELLE BALENE
Ricostruiti gli ultimi 35 milioni di anni di evoluzione delle balene. Uno studio condotto da un nutrito gruppo di biologi evoluzionisti ha permesso di ricostruire la storia evolutiva dei più grandi mammiferi esistenti. Se attualmente sono 84 le specie conosciute, son ben 400 le specie scomparse, tra cui alcune che dimoravano per brevi periodi anche sulla terraferma.
Il loro successo sembra dovuto essenzialmente alla complessa struttura sociale, e ha permesso loro di espandersi in tutti gli oceani del globo. Fonte EurekAlert!

09 GIUGNO 2010

SPECIE ALIENE
Uno studio pubblicato sulla rivista Pnas (Proceedings of the National Academy of Science) ha evidenziato come la diffusione delle specie aliene sia dipendente da due principali fattori: la ricchezza e la densità di popolazione. La ricerca, frutto di una collaborazione internazionale, ha evidenziato come questi due elementi siano decisivi al fine di valutare il grado di invasioni in un determinato territorio molto più di altri fattori come, per esempio, i cambiamenti climatici.
"Il fenomeno è connesso al commercio internazionale". Le specie invasive, come spiegano i ricercatori, possono nascondersi nelle merci importate, essere trasportate come animali domestici, essere introdotte per errore tramite cibi contaminati o ancora di proposito, come nel caso delle piante ornamentali e delle nuove coltivazioni. Secondo gli studiosi, il forte peso dei fattori umani sulle invasioni biologiche è una questione su cui politici e governi dovrebbero intervenire, superando ogni tipo di reticenza.
Ricordiamo che la fastidiosissima zanzara tigre è arrivata dal sud est asiatico attraverso l'importazione di pneumatici dal Canada, e in pochi anni si è diffusa in tutta Italia esclusa la Val d'Aosta.

08 GIUGNO 2010

LA GIORNATA MONDIALE DEGLI OCEANI

Banner Oceans For Life Banner Oceans For Life

Si celebra oggi in tutto il mondo la Giornata Mondiale degli Oceani. In realtà un giorno ci sembra poco e noi tutti vorremmo celebrare quotidianamente quest'evento.

Disegno spiaggia Sustain Life. Fonte:www.oceanday.net

Riportiamo un intervento di Marco Costantini: È giunta l’ora che le acque internazionali d’alto mare ricevano una maggiore attenzione da parte di tutti i paesi, non solo quelli rivieraschi. Come prima cosa, si deve contrastare la pesca illegale, grazie anche alla ratificazione dell’Agreement on Port State Measures. Poi ci si deve impegnare per impedire la circolazione di navi oceaniche “carretta”, alcune delle quali atte al trasporto del petrolio: la Exxon Valdez, petroliera che nel 1989 si infranse su uno scoglio dell’Alaska, incatramando uccelli marini, lontre e coste integre, poi riparata, circola ancora oggi dopo più di venti anni, e solo da pochi anni non trasporta più petrolio. È infine necessario, per quanto riguarda le attività estrattive, mettere in campo valutazioni di rischio che includano la previsione e la quantificazione dell’enorme danno ecologico, sociale ed ambientale in caso di disastri come quello attualmente in corso nel Golfo del Messico, che avrà conseguenze sugli ecosistemi marini e costieri per almeno 50 anni”.

Disegno spiaggia Sustain Life. Fonte:www.oceanday.net

REGOLAMENTO MEDITERRANEO: PRECISAZIONI
Il Regolamento Mediterraneo entrato in vigore lo scorso 1 Giugno, ha destato polemiche tra pescatori e ristoratori. L’associazione Marinerie d'Italia, ha protestato davanti al Ministero delle Politiche agricole a Roma, allo scopo di ottenere deroghe per maglie e distanze di pesca dalla costa che permetterebbero la cattura delle specie bandite dalle nuove disposizioni. In Campania la protesta di Federpesca attraverso la voce di Nicola Pellecchia ha sottolineato il fatto che l'Italia non ha mai presentato nessun piano di gestione che, in base a un articolo del regolamento, avrebbe reso possibile una modifica locale delle prescrizioni, salvando così almeno 150 pescherecci. In Veneto nei giorni scorsi è stata organizzata una manifestazione trasversale di tutte le Organizzazioni della Pesca, mentre nel centro Italia la protesta è stata nel complesso abbastanza blanda. Ricordiamo che alcune regioni come l’Emilia Romagna e le Marche hanno attuato da tempo una politica di gestione delle risorse ittiche a medio e lungo termine, e i pescatori sono maggiormente consapevoli dell’importanza della tutela e dei vantaggi che essa comporta. Certo, c’è ancora molto lavoro da fare, ma una tale formazione manca completamente in molte altre marinerie che invece gestiscono il pescato come fonte di ricchezza immediata. Ricordiamo che il Regolamento Mediterraneo è stato varato 4 anni fa, ed è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Europea l’8 Febbraio 2007. Il Regolamento prevede maglie più larghe per le reti e un ampliamento della zona interdetta alla pesca, allo scopo di proteggere gli organismi marini più piccoli, fondamentali per il sostentamento di quelli più grandi. A ridosso dell'entrata in vigore del Regolamento, con italiota abitudine, sono state chieste le solite deroghe. Come scrive l’Associazione Consumatori, si tratta di vecchia e pessima abitudine: si vara una norma e subito se ne chiede una deroga. Non si mangeranno più seppie, calamari e gamberi? Non e' così: invece che in formato mignon saranno un po' più grandi. Tutto qui. Vale la pena per tutelare il Mare Nostrum da decenni di pesca distruttiva? Crediamo proprio di si. Ai consumatori chiediamo di rifiutare le proposte di piatti a base di seppioline, gamberetti e calamaretti. Il mare e' appunto... nostrum. Purtroppo ci rammarica il fatto che ancora una volta il dibattito è legato ad aspetti prettamente economici e immediati, senza valutare invece i possibili vantaggi a lungo termine, sia economici che ecologici. Ci rammarica il fatto che le fonti di informazione trattano molti argomenti con genericità e superficialità, compreso quello della salvaguardia e della gestione delle risorse ittiche. Il Regolamento non introduce divieti assoluti, ma giustamente vieta la pesca di esemplari di taglia piccola, non ancora sessualmente maturi. Prelevare dal suo ambiente un animale prima che esso possa riprodursi, significa condannarlo all’estinzione. E’ il caso dei tonni, da 20 anni vengono catturati esemplari lunghi meno di un metro, e quindi non sessualmente maturi, e oggi è ad altissimo rischio di estinzione. Ripetiamo, il Regolamento Mediterraneo non introduce divieti, ma vieta la cattura di esemplari troppo piccoli.

07 GIUGNO 2010

L'ANNO DELLA BIODIVERSITA' ..VIRTUALE!
La rivista Science ha pubblicato un articolo dal titolo dal titolo Global Biodiversity: Indicators of Recent Declines di Stuart H.M. Butchart, che evidenzia nella sua drammacità come la biodiversità non sia affatto tutelata e anzi, il tasso con cui le specie scompaiono rimane immutato. A nulla servono proclami e iniziative volte alla tutela delle specie e degli ecosistemi, poiché le attività antropiche, in costante aumento, continuano ad impattare pesantemente sui principali habitat della terra. A questo trend non certamente positivo deve inoltre aggiungersi un aumentato numero di specie aliene invasive (in particolare in Europa) da cui derivano, anche in Italia, numerosi danni. L'articolo completo è disponibile solo sulla rivista, ma un estratto in formato pdf è presente sul sito dell' United Nations Environment Programme World Conservation Monitoring Centre.

LA PRIMA CAMPAGNA DI ESPLORAZIONE DI UN LAGO SUB-GLACIALE ANTARTICO
L'analisi delle sue acque potrebbe rivelare forme di vita microscopiche uniche, metre quella dei sedimenti potrebbe influire notevolmente sugli studi sul cambiamento del clima globale. Ricercatori del British Antarctic Survey, della Northumbria University e dell'Università di Edimburgo hanno identificato il punto ottimale per eseguire una perforazione nelle coltri glaciali antartiche e raggiungere il lago subglaciale di Ellsworth, situato a tre chilometri di profondità dalla superficie.News completa su Le Scienze!

06 GIUGNO 2010

DA RETRODATARE L'ORIGINE DELLO YANGTZE
Lo Yangtze, il leggendario Fiume Azzurro della Cina, è probabilmente più antico di 40 milioni di anni rispetto a quanto ritenuto finora. Uno studio su minerali del suo bacino ha infatti permesso ai ricercatori della Durham University di stimare che il fiume cominciò a incidere l’area delle Tre Gole, dove oggi sorge una diga tra le più imponenti del mondo, circa 45 milioni di anni fa. Ben poca cosa rispetto ai centinaia di milioni di anni del fiume Nilo, ma tanti rispetto ai "soli" 11 milioni di anni del Rio delle Amazzoni. News completa su Le Scienze!

L'articolo originale si trova sulla rivista Geology!

03 GIUGNO 2010

RETRODATATA L'ORIGINE DEI CEFALOPODI
Dopo 101 anni la fauna di Burgess, incredibilmente descritta da Stephen Jay Gould ne "La vita meravigliosa", sorprende ancora. La rivista Nature ha pubblicato un articolo riguardante Nectocaris pteryx, uno dei fossili ritenuti problematici, in quanto di difficile collocazione tassonomica. Il capo ricorda quello degli artropodi ma il corpo è del tutto privo delle appendici articolate. Martin R. Smith e Jean-Bernard Caron dell'Università di Toronto, dopo aver studiato 91 fossili di Nectocaris, sono riusciti a determinare la forma corporea dell'animale, che si presenterebbe schiacciata e romboidale, e dotata di grandi appendici laterali, di due tentacoli nonché di un imbuto ventrale, il che colloca questa enigmatica specie nella classe dei molluschi Cefalopodi.
L'interpretazione di Nectocaris come un cefalopode implica che l'origine di questi molluschi sia avvenuta circa 30 milioni di anni prima di quanto ritenuto finora. Inoltre, nessun esemplare fossile presenta una conchiglia: si è da sempre creduto che i cefalopodi basali fossero simili ai nautili e che solo successivamente la conchiglia fu persa. Questa scoperta indica, al contrario, che i primi esponenti di questo gruppo erano abili nuotatori anche senza l'ausilio di una conchiglia.
Ma lo studio rivela altre sorprese, infatti, Nectocaris sembra strettamente imparentato con altre due specie di Burgess, Vetustovermis e Petalilium, anch'esse considerate di difficile collocazione tassonomica.

Fonte: Martin R. Smith, Jean-Bernard Caron. Primitive soft-bodied cephalopods from the Cambrian. Nature

01 GIUGNO 2010

DEEPWATER HORIZON 8
Dal fondo del Golfo del Messico continua a uscire petrolio, inesorabilmente, da oltre un mese e mezzo. I video che mostrano lo stato dei fondali sono drammatici. La vita bentonica è stata spazzata via, sepolta da una massa oleosa e intrattabile, spessa molti centimetri.
Anche l’ultimo tentativo di chiudere la falla principale, l'operazione top kill, messo in atto dalla BP attraverso il pompaggio di 30.000 barili di fango, è fallito. L’operazione non era stata mai tentata a grandi profondità, e in data 25 maggio doveva essere visibile attraverso le webcam posizionate sul fondale. Ma la BP decise poi di non trasmettere le immagini, cosa che invece fece, sembra, la CNN, ma purtroppo la notizia ci è giunta in ritardo e non sappiamo se le immagini sono state effettivamente trasmesse (per chi volesse visionare alcune immagini, consigliamo la webcam della Skandi Neptune, che sembra trovarsi in zona per riversare solventi direttamente in prossimità della falla principale).
La BP ha annunciato che nei prossimi giorni tenterà un piano chiamato Lower Marine Riser Package. In un primo tempo taglierà il tubo danneggiato cercando poi di isolarlo con una specie di cappuccio dal quale aspirare il petrolio e portarlo alle navi in superficie. Un’operazione rischiosa, che se fallisce potrebbe persino far aumentare le perdite del 20%, ammette la stessa BP.
Ma perchè la piattaforma Deepwater Horiz esplose?
Secondo una ricostruzione la compagnia BP sapeva del rischio gia tempo prima dell'esplosione. Ll’esplosione avvenne per la mancata costruzione di un’adeguata base di cemento. Furono posizionate solo 51 barre, insufficienti per constrastare la pressione e prevenire le infiltrazioni di gas, che poi risalendo in superficie, determinò l’esplosione della piattaforma petrolifera.

La cementazione dei pozzi petroliferi
Durante la trivellazione il pozzo viene costantemente riempito con fluido fangoso. Per la cementazione del foro di trivellazione viene pompata, fino al punto più profondo, una pasta cementizia nell’armatura del pozzo, nello spazio compreso tra le formazioni rocciose (parete del foro di trivellazione) e l’armatura del pozzo: in questo modo la pasta cementizia sposta i fluidi fangosi, prendendone il posto. Per evitare la miscelazione delle due sospensioni, si utilizzano di norma dei tappi di gomma: il tratto che la sospensione di cemento deve attraversare fino al punto in cui dovrà solidificare, nello spazio compreso tra la formazione rocciosa e l’armatura del pozzo, può essere di diversi chilometri. Le proprietà delle paste cementizie devono essere perfettamente adeguate alle condizioni reali del foro di trivellazione, vale a dire elevati valori di temperatura (T) e pressione idrostatica (p): ciò si ottiene con l’aggiunta di speciali e costosi additivi, che garantiscono una buona affidabilità. Il cemento per pozzi petroliferi è il componente principale delle paste cementizie, relativamente ricche di acqua. Importanti additivi sono, tra l’altro, i fluidificanti (reologia), gli inibitori (tempo di indurimento) e gli agglomeranti (riduzione delle perdite di filtrato); non vi sono materiali inerti grossolani, come nel calcestruzzo. Scopo della cementazione di un pozzo profondo è quello di convogliare la melma cementizia nel foro di trivellazione per chilometri di profondità, in modo sicuro e mirato, fino al punto previsto per l’indurimento, esternamente all’armatura del pozzo. Infine, alla base del pozzo, viene realizzata una testata in cemento, per contrastare la pressione di fuoriuscita degli idrocarburi, al fine di evitare preziose perdite di petrolio e gas, e per evitare che la componente gassosa risalga in supericie e possa innescare una esplosione, cosa che purtroppo si è verificata nel caso della Deepwater Horizon. I cementi per pozzi petroliferi rivestono dunque un ruolo fondamentale nelle cementazioni delle pareti e della base dei fori di trivellazione: ad essi si richiede un’elevata uniformità nella reattività del cemento nonché un’ottima tollerabilità con pressoché tutti gli additivi comunemente in uso.

Intanto è possibile seguire su una mappa interattiva l'estensione della chiazza di petrolio.