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31 Ottobre 2010

SPECIE ALIENE SEMPRE PIU' A NORD

Fistularia commersonii, Ruppel, 1835 La specie Fistularia commersonii (Ruppel, 1835) descritta gia da tempo quale specie lessepsiana (proviene dal Mar Rosso), sembra diffondersi sempre più a nord. E' stata infatti segnalata nell'arcipelago de La Maddalena. Il pesce flauto è normalmente presente nel Mar Rosso e in tutto l'Indo-Pacifico, sino alle Hawaii e lungo le coste di Panama. E' un pesce lungo e sottile, la pinna caudale porta un lungo filamento mediano, mentre le dorsali e l'anale sono poste alla fine del corpo. Ha la capacità di variare la tonalità della colorazione, e normalmente presenta un dorso verdastro e il ventre più chiaro. Anche il suo comportamento è curioso, si nasconde dietro grandi gorgonie o grandi pesci per sorpendere le sue prede che cattura grazie alla sua bocca deformabile. Vive sino a 100 metri di profondità.
Fotografia di Antonio Colacino.

29 Ottobre 2010

EFSA: INSUFFICIENTI LE INFORMAZIONI SUGLI OMEGA 3
Non passa giorno in cui non si parli dell’olio di pesce e delle sue proprietà benefiche, ma in un suo recente parere l’Autorità Europea sulla Sicurezza Alimentare (EFSA) raccomanda cautela. Sulla base delle conoscenze esistenti, gli esperti scientifici sui pericoli biologici (BIOHAZ) hanno valutato igiene ed irrancidimento dell’olio di pesce fino al punto della filiera di produzione in corrispondenza del quale si ottiene un prodotto destinato al consumo umano. La valutazione si riferisce al prodotto conservato in massa, e non alle confezioni incapsulate, a quelle da consumo o al prodotto finale pronto per la vendita al consumatore: l’olio raffinato conservato in massa è infatti un prodotto ben definito, mentre i prodotti di consumo come le capsule sono complessi e le proprietà dell’olio sono influenzate da numerosi fattori estrinseci (materiale di confezionamento, altri ingredienti, aromatizzanti, condizioni di conservazione e destinazione d’uso). Gli esperti hanno descritto la produzione di olio di pesce relativa alle materie prime, la trasformazione generica dell’olio di pesce greggio, il processo di raffinazione dell’olio, la produzione di concentrati omega-3 e l’aggiunta di antiossidanti e altri mezzi di protezione dall’ossidazione. Sono stati illustrati e discussi i fattori che influenzano le proprietà dell’olio di pesce e i potenziali pericoli biologici e chimici legati all’ossidazione; si è fatto riferimento a prodotti introdotti recentemente quali gli oli di pesce vergine o gli oli di pesce extra a bassa ossidazione nei quali sembrano essere utilizzate temperature sostanzialmente più basse durante la lavorazione e le materie prime sembrano essere di qualità particolarmente elevata.
Da questa valutazione è emerso che le informazioni sono ancora disordinate e generalmente mancano finora definizioni accettate di questi prodotti. Sembra però che solo i prodotti dell’ossidazione possano rappresentare un potenziale pericolo nell’olio di pesce raffinato destinato al consumo umano mentre è stato conservato in massa. L’ossidazione dei lipidi può comunque essere prevenuta con lo stoccaggio refrigerato al buio, senza esposizione all’ossigeno e l’aggiunta di antiossidanti. Mancano invece informazioni sul livello di ossidazione dell’olio di pesce (misurato dai valori di perossido e anisidina) e i relativi effetti tossicologici negli esseri umani; sono carenti anche le informazioni sulla tossicità dei prodotti di ossidazione individuale dell’olio di pesce negli esseri umani, da cui emerge che non può essere effettuata alcuna valutazione qualitativa o quantitativa dei rischi in relazione all’irrancidimento dell’olio di pesce destinato al consumo umano. Fonte: Zootecnews.

UNA BARRIERA RIPRODUTTIVA PREZIGOTICA
Un processo di speciazione ha il suo compimento nella formazione di meccanismi di isolamento riproduttivo, che impediscono l'ibridazione delle due specie di nuova formazione. Questi meccanismi possono agire prima del momento della copula (meccanismi di isolamento riproduttivo pre-zigotici), impedendo l'incontro sessuale tra maschi e femmine di specie diverse come in seguito all'evoluzione di display di corteggiamento specie-specifici, o ad accoppiamento avvenuto (meccanismi di isolamento riproduttivo post-zigotici), generando incompatibilità gametica, creando problemi durante lo sviluppo embrionale o rendendo gli ibridi sterili.
Se, poi, le due nuove specie continuano a vivere in simpatria, ci si attende l'evoluzione in tempi rapidi di queste barriere riproduttive e un meccanismo di rafforzamento delle stesse. In alcuni contesti, però, l'isolamento riproduttivo può essere asimmetrico, con una specie che predilige l'accoppiamento assortativo mentre l'altra che non manifesta preferenza per l'una o l'altra specie. Inoltre, l'asimmetria può riguardare i diversi sessi, con gli individui di un sesso che prediligono l'accoppiamento con conspecifici e quelli dell'altro sesso che, invece, copulano indistintamente con potenziali partner di entrambe le specie. Un caso del genere è stato documentato su due specie di Gambusia (Gambusia affinis e Gambusia geiseri), pesciolini che, dopo il loro recente evento di speciazione, continuano a convivere nei medesimi luoghi.
Una ricerca pubblicata sulla rivista Evolutionary Ecology ha analizzato i comportamenti di scelta sessuale di maschi e femmine di entrambe le specie e valutato se esiste un'incompatibilità tra gli spermatozoi di una specie e le cellule uovo dell'altra. Dai risultati emerge che i maschi sia di Gambusia affinis che Gambusia geiseri prediligono di gran lunga corteggiare le femmine conspecifiche, mentre queste ultime sembrano risultare attratte nello stesso modo da potenziali partner di entrambe le specie. Inoltre, non è stata segnalata alcuna incompatibilità tra i gameti delle due specie.
La barriera riproduttiva tra le due specie, concludono i ricercatori, è di carattere pre-zigotico, mediata esclusivamente dai maschi di entrambe le specie. Fonte: Pikaia, a cura di Andrea Romano.

28 Ottobre 2010

UN VIRUS COMPLESSO DAL MARE
È il virus più grande e complesso dei mari e si chiama CroV. Lo hanno appena identificato il microbiologo Curtis Suttle e la sua équipe della University of British Columbia (Canada) in uno studio pubblicato sui Proceedings of the National Academy of Sciences. Non è chiaro il ruolo di CroV negli ecosistemi, ma potrebbe essere molto importante visto che è il nemico numero uno del protozoo flagellato Cafeteria roenbergensis (da cui prende il nome). Questo protozoo è infatti tra i predatori più attivi e abbondanti della Terra (si nutre di batteri), ed è un organismo fondamentale per il ciclo dei nutrienti e di alcuni elementi, in particolare quello del carbonio.
CroV è stato scoperto agli inizi degli anni Novanta dagli scienziati canadesi a largo delle coste del Texas (nell’Oceano Atlantico). Dopo venti anni sappiamo che si tratta del secondo virus più grande mai scoperto. Il suo genoma è infatti formato da 730 mila paia di basi (i mattoni costituenti del Dna e Rna), secondo solo a quello del mimivirus Acanthamoeba polyphaga (1.2 milioni di basi), presente negli ecosistemi delle acque dolci.
Per i biologi, i virus sono entità difficili da classificare. Per riprodursi, infatti, necessitano delle proteine sintetizzate all’interno delle cellule ospiti, caratteristica che li esclude dalla categoria dei cosiddetti esseri “viventi”. Ma la nuova scoperta mette in difficoltà gli scienziati. “I virus sono considerati organismi semplici perché portano un esiguo numero di geni”, conclude Curtis. “Ma la macchina genetica trovata in CroV è pari a quella che caratterizza le cellule degli organismi complessi. E non c’è dubbio che il nuovo arrivato sia solo uno dei tanti, ancora sconosciuti ma indispensabili, virus giganti che abitano i mari”. Fonte GalileoNet a cura di Martina Saporiti.

DALLA RIVISTA PNAS
La rivista Proceedings of the National Academy of Sciences ha pubblicato una serie di articoli (ben 12) dedicati alle riserve marine. Tutti gli articoli sono consultabili liberamente e scariacabili in formato pdf.

26 OTTOBRE 2010

ALLARME ANGUILLE ALLA DIOSSINA
È allarme in Olanda per la vendita di anguille contaminate da diossina. Stando a quanto riportato da una tv nazionale alla fine di settembre, pescatori e commercianti continuerebbero a immettere sul mercato questi pesci contaminati provenienti da fiumi con elevati livelli di tossicità. Il rischio è che i consumatori acquistino anguille di fiume contaminate -che non rispettano le norme europee di sicurezza alimentare e sono proibite per la vendita- pensando di comprare invece anguille di lago. I media nazionali avvertono ora che elevate quantità di diossina nell’organismo possono causare cancro e compromettere lo sviluppo del feto, ma la vicenda non è nuova: già nel 2007 l’Autorità olandese per la Sicurezza degli Alimenti e dei Prodotti di Consumo (VWA) aveva segnalato l’elevato contenuto di diossina nelle anguille del Paese, ed aveva sottolineato la necessità di vietare la pesca in alcuni fiumi, cosa che evidentemente non è avvenuta. I ricercatori stimano che la quantità di anguille contaminate vendute finora possa toccare i 300.000 chili, mentre secondo il Ministero di Agricoltura, Ambiente e Qualità Alimentare, la quantità è al massimo pari alla metà, sottolineando che il 95% delle anguille commercializzate nei Paesi Bassi è allevato e dunque sicuro. "Gli affari sono affari", ha dichiarato un pescatore del luogo in merito alla vicenda. Le stime ministeriali hanno immediatamente suscitato le critiche degli scienziati che hanno accusato il Ministero di salvaguardare più gli interessi del settore ittico che la sicurezza alimentare. Di contro il Ministero ha sostenuto che il denaro impegnato per indennizzare il settore ha giocato un ruolo importante e non ha permesso di introdurre il divieto della pesca. Il programma televisivo ha anche denunciato che il Centro per l’Alimentazione, un istituto finanziato dall’Amministrazione pubblica, ha omesso di avvertire tempestivamente le donne incinte sui pericoli dovuti al consumo di anguille dei fiumi contaminati. In seguito a queste denunce, il Centro ha riconosciuto il proprio errore ed ha immediatamente aggiornato il proprio sito web sulla vicenda. Fonte: Zootecnews.

25 Ottobre 2010

TRE NUOVE SPECIE DI RANE
Tre nuove specie di rane dalla singolarissime caratteristiche sono state scoperte da un gruppo internazionale di zoologi diretti dall'italiano Michele Menegon del Museo tridentino di scienze naturali, che le descrivono in un articolo in corso di pubblicazione sullo Zoological Journal of the Linnean Society ("Three new species of Callulina (Amphibia: Anura: Brevicipitidae) highlight local endemism and conservation plight of Africa's Eastern Arc forests"). La news integrale è disponibile su Le Scienze.

22 Ottobre 2010

CELENTERATI CON IL JET-LAG
Un’altra ricerca che potrebbe candidarsi per gli IgNobel 2011: anche gli anemoni di mare – uguale uguale ai cugini maggiori esseri umani – soffrono di jet-lag. Una ricerca pubblicata su PLoS One ha dimostrato che questi animali piuttosto primitivi regolano le attività fisiologiche seguendo i cicli circadiani (l’alternarsi quotidiano della notte e del giorno), esattamente come facciamo noi e la gran parte del regno animale, e che se questi cicli vengono alterati (come a noi succede quando viaggiamo per lunghe distanze) l’organismo ha bisogno di un certo periodo di tempo per riadattarsi.
Adam Reitzel e colleghi hanno studiato il comportamento di alcuni geni dell’anemone, analoghi a quelli che regolano i cicli veglia-sonno nell’essere umano. Alcuni esemplari raccolti in natura sono stati piazzati in delle vasche e sono stati sottoposti in maniera artificiale all’alternarsi di periodi di luce e di buio alterati rispetto al normale. Glia anemoni rispondevano particolarmente bene alla luce di colore blu e questo suggerisce che sono particolarmente adattati alla luce lunare. Proprio come gli esseri umani gli anemoni sembravano soffrire particolarmente a causa del jet-lag (cioè la difficoltà ad adattarsi a un nuovo ritmo luce-buio). Questo secondo gli autori suggerisce che certi aspetti dei ritmi circadiani sono condivisi da tutti gli animali e potrebbero esser presenti da più di 600 milioni di anni. Fonte Oggi Scienza, a cura di Federica Sgorbissa.

FARMACI E PRODOTTI PER L'IGENE METTONO A RISCHIO LE NOSTRE ACQUE
Residui di medicinali e prodotti per l'igiene personale si riversano nell'ambiente attraverso le fognature, con pesanti conseguenze sulle comunità microbiche e sui sistemi acquatici. E non ci sono adeguate strategie per stimare i rischi ambientali causati da questi mix di sostanze. A rivelarlo è una ricerca condotta dall'Università di Göteborg, in Svezia.
“Bisogna cominciare a studiare gli effetti non solo delle singole sostanze, ma anche delle loro combinazioni”, ha spiegato Sara Brosché, autrice dello studio e ricercatrice presso il Dipartimetno di Scienza ambientale e delle piante. La medicina moderna si affida ai prodotti farmaceutici per ogni tipo di trattamento. Le sostanze attive nei farmaci di cui facciamo uso vengono gradualmente espulse attraverso le urine e le feci per poi finire nelle fognature; così piccole quantità di medicinali vengono ritrovate nella maggior parte degli ambienti acquatici, dai corsi sotterranei ai mari. Le più alte concentrazioni si trovano in corrispondenza della fuoriuscita delle acque degli impianti di depurazione, spesso nella forma di un cocktail di differenti medicinali. Una volta dispersi in natura, questi residui - soprattutto gli agenti antimicrobici come gli antibiotici e gli antifungini - continuano a influenzare l’ambiente.
Nella sua ricerca, la studiosa svedese ha osservato l'effetto di miscele di farmaci su alcune popolazioni di microalghe. E ha mostrato che, sebbene i livelli di farmaci normalmente osservati nell’ambiente siano bassi, i cocktail di sostanze tossiche hanno generalmente un effetto maggiore della somma delle singole parti. “Quando abbiamo mescolato cinque medicinali e prodotti per l’igiene personale (fluoxetina, propanololo, zinco piritione, clotrimazolo e triclosano) a concentrazioni che non avrebbero avuto alcun effetto significativo individualmente, la miscela ha avuto effetto su quasi il 30 per cento delle microalghe”, ha concluso la ricercatrice. Fonte GalileoNet a cura di Monica Di Dionisio.

E' MORTO LEIGHT VAN VALEN
Era una delle persone meno note ma più geniali, per quel che si può giudicare dai risultati, della biologia moderna. Leigh Van Valen è morto sabato inseguito a complicazioni derivate da una rara forma di leucemia. È poco noto anche perché, nonostante contribuisse a parecchi newsgroup di paleontologia, non era un evoluzionista "vocale".
Cos'ha fatto Van Valen? Ha proposto l'ipotesi della Regina Rossa, quella per cui le specie devono evolversi il più rapidamente possibile solo per restare al loro posto, cioè non estinguersi. Spiega in questo modo anche la "corsa agli armamenti" fra le specie per esempio di preda e predatore, e probabilmente anche quella tra parassiti e parassitati (una conseguenza della quale è anche la spiegazione dell'origine del sesso). L'ipotesi prende il nome da un personaggio di Alice attraverso lo specchio (cui si riferisce l'immagine sopra, di John Tenniel). La regina trascina Alice il più velocemente possibile sulla scacchiera, ma Alice si accorge che non si muovono.
La corsa evolutiva consente alle specie di non estinguersi, ma esse devono sempre rimanere allo stesso posto, se non vogliono perdere il treno. Van Valen ha anche proposto il concetto di specie ecologica, definita come: A set of organisms adapted to a particular set of resources, called a niche, in the environment.
Insomma ci ha lasciato un genio.
Fonte Pikaia, tratto da Da Leucophaea, il blog di Marco Ferrari.

19 Ottobre 2010

DOPO LA MAREA NERA..LA MAREA ROSSA 3
Il 4 ottobre nell'impianto di lavorazione dell'alluminio della città di Ajka, nella parte occidentale dell'Ungheria, qualcosa non ha funzionato. Come un fiume in piena, tonnellate e tonnellate di fanghi tossici sono fuoriusciti dalla struttura, inondando presto tutta la zona. Il giorno successivo, nei pressi di Kolontar, abbiamo prelevato dei campioni di acqua e fango, e li abbiamo portati ad analizzare alla Austrian Federal Environment Agency di Vienna e al laboratorio Balint di Budapest.
Oggi i risultati delle analisi non fanno che accrescere l'allarme. La concentrazione di metalli pesanti riscontrata nei campioni prelevati è preoccupante. Basti pensare che il valore dell'arsenico disciolto in acqua (0.25 milligrammi per litro) supera di 25 volte il limite consentito per la potabilità. È appurato che questo metallo danneggi l'uomo, andando a colpire soprattutto il sistema nervoso.
Si stima che 50 tonnellate di arsenico siano state liberate nell'ambiente. Le conseguenze per gli ecosistemi acquatici, le falde e la salute pubblica potrebbero essere devastanti, anche sul lungo periodo. Anche il mercurio, che tende ad accumularsi nei pesci, facilmente può passare all'uomo attraverso la catena alimentare.
Dopo l'incidente avevamo effettuato subito dei rilievi, testando nell'immediato il PH dei fanghi. Anche in quel caso, l'esito dell'esame era stato molto negativo: PH 13, elevatissimo, indice di un alto livello di capacità corrosiva dei fanghi. Per ottenere uno studio più approfondito sarà necessario attendere ancora.
Denunciamo il tentativo di occultamento da parte del Governo ungherese: diamo per scontato che loro sappiano esattamente cosa c'è nel fango. Perché deve essere sempre Greenpeace a pubblicare dati sconcertanti e informare vittime e opinione pubblica sulla realtà dei fatti?
Fonte: Greenpeace Italia.

PESCI A 7.000 METRI DI PROFONDITA'
ANSA: Persino a 7mila metri di profondità', dove si pensava non esistessero specie animali complesse, si possono trovare pesci e crostacei. Lo ha svelato una spedizione guidata dall'Università di Aberdeen, che è riuscita a fotografare un gran numero di pesci lumaca e crostacei. I ricercatori hanno condotto l'esplorazione a largo delle coste del Perù, scandagliando il fondo con dei robot sottomarini muniti di telecamere e macchine fotografiche. La ricerca è parte del programma Hadeep.
Note di biologiamarina.eu: la notizia è importante, tuttavia precisiamo che fu Piccard a parlare per primo di pesci a profondità abissali, nel 1960. Ecco ciò che disse Piccard: Il fondo è di un fango bianco-grigio…vedevamo attraverso l’oblò di plexiglass accendendo i fari. L’acqua era limpidissima, la temperatura era di 3,5°C, invece all’interno del batiscafo vi erano 8-10°. Rimanemmo sul fondo venti minuti. Fummo inoltre straordinariamente fortunati perché potemmo vedere due animali, un gambero e una specie di sogliola. Quest’ultima potei osservarla per circa un minuto. Non aveva l’aspetto di un pesce abissale (…) ma era proprio come una sogliola comune, lunga una trentina di centimetri, bianca. Nuotava adagio, vicino al fondo, forse in cerca di cibo, poi sparì nel buio, oltre il raggio della nostra lampada.

18 Ottobre 2010

LE RELAZIONI PERICOLOSE
Vivere in acque azzurre, dieta vegetariana a base di alghe e poi rischiare la vita per l’insorgenza di un tumore. La sopravvivenza della tartaruga verde (Chelonia mydas) nell’arcipelago delle Hawaii, ma anche in Australia e ai Caraibi, è minacciata da una sindrome, nota dal 1938, la Fibropapillomatosi. La malattia è caratterizzata dalla presenza di fibropapillomi esterni, masse tumorali esterne grandi come palline da tennis.
La causa primaria è un herpes virus ma un team di ricercatori della Duke University in collaborazione con il NOAA (National Oceanic Atmospheric Administration) ha svelato l’origine dell’epidemia. La ricerca rivela che è la dieta a base di macroalghe ad esporre le tartarughe al rischio di contrarre la sindrome tumorale. I risultati sono stati pubblicati su PlosOne e lo studio è stata effettuato analizzando 4 mila esemplari di tartaruga recuperati morti o in fin di vita dal 1982 al 2009 (ben 28 anni) nelle acque hawaiane tra Oahu e Maui.
Hipnea musciformis e Ulva fasciata, due alghe invasive e non autoctone che costituiscono il 90% della dieta delle tartarughe, proliferano in condizioni di sovrabbondanza di nitrati e fosfati, uno stato noto come eutrofizzazione. Quando nell’ambiente l’azoto è presente in grandi concentrazioni le alghe lo immagazzinano sotto forma di un amminoacido, l’arginina. Che le tartarughe assumono poi cibandosi delle alghe di cui vanno ghiotte. Secondo la regola base delle reti alimentari; i predatori al vertice metabolizzano tutte le molecole che ingeriscono (tossine incluse), senza possibilità di scampo.
I risultati sull’arginina di alcuni studi virologici sono particolarmente eloquenti. L’amminoacido è direttamente coinvolto in situazioni di disfunzione immunologica (abbassamento delle difese immunitarie), infiammazione cellulare e tumori virali. Ma l’arginina è anche importante per gli herpes virus: esperimenti in laboratorio hanno mostrato che l’herpes non si sviluppa se manca l’arginina. L’amminoacido è inoltre in grado di favorire lo sviluppo di tumori alla cornea. Il 93% delle tartarughe con la fibropapillomatosi avevano tumori oculari ben visibili, che ne limitavo gravemente la vista.
Chelonia mydas è una tartaruga che vive anche in Mediterraneo, in acque basse, là dove le attività dell’uomo hanno un impatto considerevole sulla vita acquatica. Le tartarughe sono minacciate dalla pesca, dalla presenza dell’uomo che riduce i luoghi dove nidificare (in Italia si sono ridotti a poche spiagge), dal prelievo per la vendita di souvenir nel Sud-est asiatico, dalla cattura nelle reti e a fenomeni a lungo termine come il cambiamento climatico. La fibropapillomatosi ha avuto il suo picco epidemico negli anni Novanta. Oggi non può essere sottovalutata perché l’eccesso di azoto che sta all’inizio di questo “black-out biologico” nelle acque hawaiane è legato (anche) alla industrie costiere che disperdono direttamente in mare le acque di scarico.
Fonte: Oggi Scienza, a cura di Mauro Colla

I CICLI DEL PACIFICO ALTERATI DAL GLOBAL WARMING
El Niño Modoki - la forma di El Niño modificata dal cambiamento climatico sui cui i climatologi stanno discutendo da tempo - sta influenzando le correnti nella parte settentrionale dell'Oceano Pacifico, secondo un nuovo studio apparso su Nature Geoscience.
El Niño, com'è noto, è un periodico riscaldamento del Pacifico tropicale orientale che si verifica lungo le coste del Sud America. Recentemente, si è notato che esso si presenta in una forma più intensa nella zona centrale del Pacifico che in quella orientale, e a questa forma trasformata è stato aggiunto l'aggettivo Modoki (che in giapponese significa "simile ma differente"). Il testo integtrale è disponibile sul sito de Le Scienze.

14 Ottobre 2010

ALTRE MINACCE PER I CORALLI
KEY: Harmful algal blooms, bleaching, barriere coralline, eutrofizzazione.
I ricercatori dell’ University Institute for Water delle Nazioni Unite hanno scoperto che in sole tre settimane, in una zona del Golfo di Oman, il 95% dei coralli e il 70% dei pesci sono morti a causa di una proliferazione anomala di un'alga. Due specie di corallo, Pocillopora damicornis e Acropora arabensis sono completamente scomparse. Le cause non sono chiare, si ipotizzano cambiamenti della temperatura delle acque e un eccesso di nutrienti, ma al momento non sono disponibili dati più precisi.
La notizia è apparsa sulla rivista Marine Pollution Bulletin.
Fonte: BBC Hearth News.

13 Ottobre 2010

EVENTI: NOI E GLI ALTRI
KEY: biodiversità
Dal 18 al 29 Ottobre si terrà a Nagoya il vertice dei 192 paesi che hanno firmato la Convenzione delle Nazioni Unite per la diversità biologica. Piccola guida alle risorse in rete, per chi ha voglia di informarsi. I link sono riportati sul portale Oggi Scienza.

DIFFERENZE GENOMICHE TRA BATTERI DELL'ATLANTICO E DEL PACIFICO
Il Prochlorococcus è un batterio fotosintetico che vive sia nell'Oceano Atlantico sia in quello Pacifico. Le due popolazioni sono simili ma differiscono in modo sostanziale nel loro corredo genetico, come hanno scoperto i ricercatori del Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale (CEE) del MIT di Boston guidati da Sallie W. Chisholm.
In particolare, il ceppo atlantico ha più geni collegati allo sfruttamento del fosforo, un elemento iniziale per tutti questi microbi, il che rappresenta un effetto della pressione selettiva rispetto alla disponibilità di un componente fondamentale per la vita. Testo integrale su Le Scienze.

12 Ottobre 2010

DOPO LA MAREA NERA..LA MAREA ROSSA 2
Otto morti, alcuni dispersi e oltre 120 feriti è il bilancio provvisorio del disastro di Ajka, in Ungheria, dove lo scorso 4 ottobre il cedimento di un bacino di stoccaggio ha riversato nell’ambiente un milione di metri cubi di fanghi industriali. Come un torrente in piena, una melma rossa, tossica e corrosiva, ha trascinato via cose e persone, contaminando un’area di 40 chilometri quadrati. I soccorritori sono al lavoro (4000 persone e 300 macchine) e oggi le autorità hanno annunciato il completamento di un bacino in grado di scongiurare ulteriori fuoriuscite di fanghi tossici dall’impianto industriale. L’estensione del disastro ambientale è chiara nelle immagini riprese il 9 ottobre dall’Advanced Land Imager (ALI) a bordo del satellite Nasa EO-1. Sulla destra, è visibile lo stabilimento della MAL Zrt con il bacino di stoccaggio dei fanghi di risulta della lavorazione della bauxite all’origine della catastrofe. A valle dell’impianto, due centri abitati particolarmente colpiti, Kolontar (adiacente all’impianto) e Devecser (più a sinistra), rimaste in alcune parti sotto due metri di fango. Fonte: GalileoNet.

08 Ottobre 2010

BIOTOSSINE NELLE COZZE ITALIANE
L’Italia è un paese strano, si agita per le mozzarelle blu (anche se non ci sono pericoli in seguito all’ingestione) e trascura un centinaio di ricoveri ospedalieri per tossinfezioni dovute a cozze inquinate. La situazione è sotto controllo ma siamo ancora in una fase critica, visto che la quasi totalità degli allevamenti in Friuli Venezia Giulia e decine di quelli situati in Emilia - Romagna sono stati chiusi.
La questione ha varcato le frontiere visto che nel sistema di allerta europeo (Rasff) da tre settimane sono presenti segnalazioni di cozze contaminate spedite in altri paesi europei, ritirate dal mercato. In questi casi gli allevatori e le aziende confezionatrici hanno ritirato cozze e vongole dal mercato avvisando i fornitori. Il primo allerta verso il 20 settembre ha interessato frutti di mare consumati in Piemonte ma provenienti dagli allevamenti del Friuli Venezia Giulia. A distanza di due settimane in questi giorni c’è stata un’altra segnalazione dalla Sardegna che però si riferisce a cozze con tossine diarretiche raccolte nello stesso periodo prima del 20 settembre sempre in Friuli.
La vicenda è abbastanza seria La causa di tutto è una microalga (invisibile ad occhio nudo) che in particolari condizioni climatiche si sviluppa in mare. La microalga produce biotossine lipofiliche del gruppo DSP (Diarrethic Shellfish Poisoning) come l’acido okadaico (OA) e suoi derivati chiamati dinophysitossine (DTXs) che provocano problemi intestinali. Le cozze, più di altri bivalvi, filtrano elevate quantità di acqua e quindi catturano queste microalghe accumulando le biotossine nei tessuti edibili. L’aspetto inquietante è che le tossine non vengono denaturate con la normale temperatura di cottura, per cui le cozze contaminate anche se cucinate provocano disturbi intestinali che si manifestano successivamente in un intervallo variabile da 30 minuti fino a 7 ore dopo l’ingestione. La causa delle decine di tossinfezioni registrate in Piemonte e probabilmente in altre località sono causate dalla vendita di cozze di contenenti la tossina. I Regolamenti CE prevedono limiti di legge molto precisi per questo tipo di tossine e il superamento comporta la chiusura dell’allevamento e il ritiro dal mercato delle partite in distribuzione.
Il testo integrale della notizia è disponibile su Il Fatto Alimentare, a cura di Roberto La Pira.

07 Ottobre 2010

DOPO LA MAREA NERA..LA MAREA ROSSA 1

Marea rossa
Un'immagine emblematica dall'Ungheria. Fonte PeaceReporter.

Stato di emergenza in Ungheria: tre morti e 120 feriti sono il bilancio temporaneo dello sversamento di 6-700.000 metri cubi di fango caustico (un residuo derivante dalla lavorazione dell’alluminio) su alcuni villaggi nella zona della città Devecser, a 160 chilometri da Budapest. La catastrofe è immane.
La chiusa che sigillava il serbatoio si è rotta, e per il momento l’ipotesi è che alla base della rottura vi siano le cattive condizioni meteorologiche degli ultimi giorni. Esseri umani, fauna e flora della zona sono in grave pericolo. La protezione civile sta gettando gesso sul fango rosso (fortemente alcalino, per ridurne la corrosività), un derivato industriale composto da elementi altamente tossici (fra i quali anche il piombo).
Il fango ha una reazione fortemente alcalina sulla pelle (che si può neutralizzare lavando con abbondante acqua). Le bruciature però non escono immediatamente e possono rivelarsi anche parecchi giorni dopo l’incidente (e in profondità nei tessuti). I tre decessi ufficialmente però sono avvenuti per annegamento.
È ancora presto per valutare i danni all’ambiente (che non saranno certamente lievi e difficilmente si risolveranno sul breve termine). Ora l’attenzione è tutta concentrata sui cittadini della zona. Il governo ungherese ha dichiarato di non aver bisogno di aiuti internazionali per gestire la situazione. La lezione di Bhopal, Seveso, Chernobyl, Vajont e tanti altri non viene mai ricordata. Fonte: Oggi Scienza a cura di Federica Sgorbissa

Intanto abbiamo appreso da poco, che in prossimità del punto di incontro tra il fiume Raab e il Danubio sono state segnalate le prime massive morie di pesci. Il Governo ungherese ha nel frattempo minimizzato l'accaduto definendo l'evento non catastrofico solo perchè la Protezione Civile locale ha abbassato il pH del "miscuglio" da 12 a 9. Come se fosse solo un problema di pH (a parte il fatto che il limite tollerabile è gia stato superato). Infatti nessuno ha parlato della tossicità dei metalli pesanti e della dinamica e dell'ecotossicologia dei fanghi nell'ambiente acquatico. Anche in questo caso i danni peggiori, siamo sicuri, si paleseranno negli anni.

L'IMPATTO BIOLOGICO DEI CAMBIAMENTI CLIMATICI
Negli ultimi decenni, sono stati documentati notevoli cambiamenti ecologici alle latitudini più elevate – dall'estinzione di molte specie allo spostamento verso habitat diversi – attribuibili al riscaldamento globale, che secondo gli studi, è stato più rapido e intenso nelle zone artiche e in quelle temperate che altrove. Una nuova ricerca pubblicata su Nature dimostra ora che sebbene l'incremento di temperatura sia stato meno evidente nelle regioni tropicali, in esse l'impatto del global warming sulla vita è stato più forte che nelle regioni artiche e temperate. Il testo integrale è disponibile sul sito de Le Scienze.

06 Ottobre 2010

OCEANI ACIDI
Solo alcuni giorni fa, parlavamo con preoccupazione degli effetti negativi dei cambiamenti climatici sulle popolazioni di uccelli migratori a lungo raggio. Oggi l'allarme scatta per un altro gruppo animale, ancora più diffuso a livello mondiale: quello dei molluschi bivalvi. Ancora una volta a decretare la minaccia non è un monitoraggio, bensì uno studio sperimentale che ha evidenziato come l'acidificazione delle acque possa seriamente compromettere lo sviluppo e la sopravvivenza di questi invertebrati.
Già da tempo è stato dimostrato come la concentrazione atmosferica di CO2, conseguenza delle emissioni umane dovute alla combustione dei carboni fossili, sia strettamente legata alla riduzione del pH degli oceani e come questa abbia conseguenze negative soprattutto sugli organismi che sintetizzano carbonato di calcio (CaCO3), quali i bivalvi. Durante il processo di acidificazione infatti, l'aumento di diossido di carbonio nelle acque porta ad una riduzione della disponiblità degli ioni carbonato (CO3-2) fondamentali per la formazioni di conchiglie calcaree.
Un gruppo di ricercatori della University of Hawaii ha studiato in che modo l'acidificazione delle acque possa influenzare lo sviluppo e la sopravvivenza delle larve dei bivalvi. In particolare, i biologi hanno monitorato lo sviluppo dagli stadi larvali a quelli adulti di due comuni bivalvi oceanici, il quahog (Mercenaria mercenaria) e il canestrello americano (Argopecten irradians), a concentrazioni diverse di CO2 disciolta nell'acqua: quella dell'era preindustriale (250 ppm), quella odierna (390 ppm) e quella prevista per il secolo prossimo se le emissioni di CO2 continueranno allo stesso ritmo (750 ppm).
Dai risultati, pubblicati sui Proceedings of the National Academy of Sciences, emerge che le larve sviluppatesi alla concentrazione di co2 dell'era preindustriale manifestano una crescita e una metamorfosi più rapida rispetto a quelle allevate alla concentrazione attuale. Inoltre, queste presentavano un guscio più spesso e robusto. Infine, le larve cresciute a livelli di CO2 previsti nel secolo prossimo mostrano una crescita estremamente lenta e la conchiglia erosa e malformata.
Nel complesso, concludono i ricercatori, questi risultati indicano gli effetti negativi che l'aumento della CO2 e la conseguente acidificazione degli oceani potrebbero avere nel prossimo futuro sui bivalvi. Se il trend rimanesse questo, le popolazioni a livello mondiale potrebbero risultare seriamente compromesse, con profonde e potenzialmente disastrose conseguenze su tutte le biocenosi marine. Pubblicato su Pikaia, a cura di Andrea Romano.

04 Ottobre 2010

QUANDO LE BALENE PERSERO I DENTI
I misticeti, il sottordine di cetacei che comprende balene e balenottere, si differenziano dai loro stretti parenti odontoceti, in quanto presentano dimensioni corporee molto superiori e per il fatto di aver perduto i denti e acquisito i fanoni. Il passaggio da una dieta a base di pesci e cefalopodi, come quella degli odontoceti, ad una in cui predomina lo zooplancton avrebbe favorito lo sviluppo di queste strutture cheratinose, uniche tra i mammiferi. Ma quando le balene persero i denti ed ebbe inizio il percorso evolutivo per l'acquisizione dei fanoni? E quali furono i cambiamenti a livello genetico che permisero questa transizione?
I dati paleontologici suggeriscono che l'antenato comune a tutti i misticeti, il primo cetaceo privo di denti, comparve probabilmente intorno a 25 milioni di anni fa. A queste informazioni basate sui record fossili non si affiancavano, almeno fino ad ora, dati di carattere molecolare. O meglio, alcuni studi avevano dimostrato che alcuni geni coinvolti nella formazione dei denti erano presenti in forma disattivata nel genoma dei misticeti, ma che questa disabilitazione era avvenuta in tempi successivi a quella dei primi ritrovamenti fossili di balena. La perdita di questi geni è stata dunque importante per lo sviluppo delle caratteristiche degli odierni cetacei, ma non fu il primo evento del processo evolutivo che ha coinvolto questo gruppo di animali.
La rivista Proceedings of the Royal Society B pubblica in questi giorni un interessante studio di genomica comparata che sembra aver individuato il gene che fu coinvolto per primo nella transizione tra denti e fanoni. Secondo un gruppo di ricercatori della University of California si tratterebbe del gene MMP20, fondamentale per la formazione dello smalto. Nei genomi di tutte le specie di misticeti analizzate, questo gene risulta inattivato a causa dell'inserimento all'interno della sequenza codificante di un trasposone, un elemento di DNA mobile. Questo processo di pseudogenizzaizone (così viene chiamato l'inserimento di un trasposone all'interno di un gene funzionante) sarebbe avvenuto proprio intorno a 25 milioni di anni fa, il momento della separazione tra misticeti e odontoceti. Un piccolo evento genetico che ha innescato un processo evolutivo il cui risultato sono i misticeti, i più grandi animali che al giorno d'oggi vivono sulla terra.
Un'ulteriore prova che il gene MMP20 sia coinvolto direttamente nei processi di perdita dei denti è che anche la cogia di De Blainville (Kogia breviceps), un piccolo odontoceto con denti privi di smalto strettamente imparentato ai capodogli, e perfino il bradipo di Hoffman (Choloepus hoffmanni), un mammifero anch'esso privo di smalto, presentato la medesima pseugenizzazione di questo gene.
Rimane da capire, concludono i ricercatori, se l'inserzione del trasposone nel gene MMP20 sia stata favorita dalla selezione naturale proprio per le caratteristiche che conferiva ai denti oppure se fu semplicemente la conseguenza di un processo di evoluzione neutrale.

Pubblicato su Pikaia, a cura di Andrea Romano.

ESTATE 2010, LA QUARTA PIU' CALDA DEGLI ULTIMI 131 ANNI
Un'ondata di calore senza precedenti ha investito durante l'estate scorsa l'Europa dell'Est, associata a un'intensa siccità e a incendi forestali nei dintorni di Mosca. Allo stesso modo, una successione di giorni eccezionalmente caldi nell'est degli Stati Uniti, ha messo in crisi la fornitura di energia elettrica e portato all'evacuazione di alcuni reparti ospedalieri. Il testo integrale della News è disponibile sul sito de Le Scienze.

03 Ottobre 2010

DAL GOLFO DEL MESSICO
La Arctic Sunrise, la nave di Greenpeace, si trova in questo momento nel Golfo del Messico, per scovare tutto il petrolio che manca all'appello. Quello che in molti si sono affrettati a dire che "è evaporato" oppure "è stato degradato dall'attività microbica".
Noi di biologiamarina.eu abbiamo sempre affermato che il petrolio, la parte insolubile e più pesante, è ancora tutta li, e non semplicemente perchè ci andava di dirlo, ma perchè la cosa è nota e viene insegnata in qualsiasi corso di ecotossicologia marina. Grandi quantitativi di greggio insolubile non scompaiono da un giorno all'altro, e non esiste attività microbica tale da degradarlo in tempi brevi. La massa oleosa insolubile , ancora fresca e intrattabile, aggiunta a quella fatta precipitare dall'uso sconsiderato del coretix è tutta li, sul fondo, a far danni ancora per decenni.
Ovviamente la Arctic Sunrise lo ha trovato, sul fondale a 1.500 metri di profondità. Sul blog di Greenpeace è possibile seguire tutta la vicenda.

01 Ottobre 2010

UN PINGUINO GIGANTE DI 36 MILIONI DI ANNI FA
La scoperta è avvenuta nella Reserva Nacional de Paracas in Perù, ad opera di alcuni ricercatori della North Carolina State University e da Julia Clarke, paleontologa della University of Texas.
Il pinguino battezzato Inkayacu paracasensis, chiamato più simpaticamente Pedro dai ricercatori, era alto circa 150 cm e quindi quasi il doppio degli attuali pinguini imperatori. Aveva un becco lunghissimo, e delle penne fittamente assiepate e impilate al vertice una sull'altra, come negli attuali pinguini, adatte a proteggere l'animale dall'acqua.
L'osservazione dei melanosomi fossilizzati ha permesso di evidenziare che la colorazione non era dominata dal bianco e al nero, ma da una colorazione grigio chiara e dal bruno-rossiccio. Julia Clarke, direttrice dello studio, nota come delle penne del genere non erano state mai osservate sino ad ora. Secondo gli autori, i pinguini moderni potrebbero aver cambiato colore per adattarsi meglio all'ambiente, sia dal punto di vista ecologico che dei meccanismi termoregolatori. Fonte Science.

Nature Rivers in crisisL'80% DEI FIUMI DEL MONDO SONO INQUINATI
Alcuni ricercatori del City College dell’Università di New York e del Michigan, hanno pubblicato i dati della prima ricerca sulla qualità delle acque dei fiumi del mondo. Lo studio ha preso in esame fattori eterogenei come residui agricoli, contaminazione chimica e specie invasive, l'effetto di altri 23 agenti differenti come la perdita di zone umide e la presenza di dighe, che nonostante i costi ambientali ed economici continuano ad essere costruite.
Charles J. Vörösmarty, direttore del City College, afferma "la sicurezza delle popolazioni che vivono lungo i corsi d'acqua non può essere svincolata e studiata separatamente dalla qualità degli ecosistemi fluviali, i quali hanno un ruolo decisivo (vedere le recenti alluvioni in Nord Europa, Pakistan e in Cina) nel mantenimento dell'integrità degli altri ecosistemi limitrofi". "Occorre considerare, -continua J. Vörösmarty- sia i fiumi che le popolazioni contemporaneamente".
Lo studio non è completo, mancano infatti dati sui prodotti farmaceutici e i rifiuti di estrazione, ma le mappe ottenute mostrano in dettaglio quali sono i livelli di stress di ciascun canale, indipendentemente dai confini che attraversa. Fonte: Balancing water supply and wildlife Nature 29 Settembre 2010.

UNA RARISSIMA LONTRA TROVATA NEL FOGGIANO
Il corpo senza vita di un raro esemplare di lontra è stato trovato nei giorni scorsi dai volontari della sezione LIPU di Foggia. A renderlo noto è la LIPU-BirdLife Italia: l’animale giaceva senza vita sulla strada che collega Foggia a Potenza, all’altezza di Candela (FG). Il testo integrale sul sito della LIPU.