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15 GIUGNO 2013

SESSO DOPO LA MORTE NEI GUPPY
Vivere solo tre, quattro mesi ma riprodursi dopo un anno e mezzo dalla nascita? Non è il contenuto di un film di fantascienza, ma l’ennesima stranezza che giunge dalla straordinarietà della realtà naturale: la scoperta riguarda un piccolo e coloratissimo pesce che viene comunemente allevato dagli appassionati di acquariofilia di tutto il mondo, il guppy (Poecilia reticulata), e porta la firma di David Reznick, professore di biologia presso la University of California, che da anni conduce ricerche su questa specie nel ‘laboratorio naturale’ costituito dalla fitta rete di fiumi e torrenti dell’isola di Trinidad.
In questo unico contesto ambientale, le popolazioni di guppy vanno incontro ad episodi di rapida crescita demografica, seguiti da elevata mortalità e dalla colonizzazione di nuovi siti riproduttivi. Quest’ultima attività viene portata avanti quasi esclusivamente dalle femmine, che possono raggiungere la veneranda età di due anni contro i soli pochi mesi dei maschi. Inoltre, come noto, i maschi di questa specie presentano un’ampissima variabilità nelle colorazioni del corpo e delle pinne, mentre le femmine manifestano tinte meno sgargianti: in contesti naturali, è stato dimostrato che le femmine sembrano prediligere gli accoppiamenti con i maschi dotati di pattern cromatici rari.
Nel corso delle loro ricerche Reznick e colleghi, hanno notato che alcune colorazioni comparivano periodicamente nei nuovi nati anche dopo diversi mesi dalla scomparsa dalla popolazione dei maschi portatori di tali caratteristiche. Quale è il meccanismo alla base di tale fenomeno? Lo studio, pubblicato sull’ultimo numero della rivista Proceedings of the Royal Society B, mostra come le femmine siano in grado di immagazzinare e conservare nel proprio apparato genitale lo sperma dei maschi preferiti anche per lungo tempo (sperm storage), strategia che permette loro di utilizzarlo anche diversi mesi dopo il decesso del futuro padre della prole. E in questo modo un maschio può diventare padre fino a 10 mesi dopo la sua morte, periodo che nella specie in questione corrisponde a circa due generazioni.
Questa strategia femminile ha anche importanti ripercussioni a livello di popolazione: infatti, riduce fortemente l’accoppiamento tra individui strettamente imparentati, limitando dunque i potenziali problemi conseguenti alla depressione da inbreeding, anche in popolazioni di piccole dimensioni. In pratica, l’immagazzinamento dello sperma dei maschi delle passate generazioni rende la dimensione popolazione in età riproduttiva decisamente superiore al semplice numero degli individui da cui è effettivamente composta in un dato momento temporale. Dal momento che una femmina è in grado di trasportare"pacchetti di geni" provenienti da diversi maschi, concludono i ricercatori, anche un solo individuo potrebbe dare vita ad una grossa popolazione vitale con un’elevata variabilità genetica. Fonte: OggiScienza.

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